Kenya: non si spara più a Garissa, ma continuano le violenze dell’esercito
“Non si spara più, ma la tensione rimane alta perché la popolazione è irritata per
come l’esercito è intervenuto. Alcune pattuglie militari sono state fatte oggetto
del lancio di pietre da parte degli abitanti. Speriamo che presto la tensione si plachi”
dice all’agenzia Fides mons. Paul Darmanin, vescovo di Garissa, nell’est del Kenya,
al confine con la Somalia, martedì scorso al centro di combattimenti tra l’esercito
keniano e un gruppo armato responsabile di un attentato che ha provocato la morte
di 3 militari. Si suppone che i responsabili dell’attentato siano legati agli Shabaab
somali. “Ora si può uscire di casa, infatti in questo momento sto tornando da una
parrocchia fuori Garissa dove dovevo recarmi domenica 18 novembre per amministrare
le Cresime, ma poi ero stato costretto a rinunciare a causa dei combattimenti” spiega
il vescovo. Secondo testimonianze riprese da agenzie internazionali, i militari keniani
avrebbero sparato a casaccio contro la popolazione di Garissa, che è in gran parte
somala. Il mercato della città sarebbe stato bruciato dai militari. Un portavoce dell’esercito
ha però smentito che l’esercito si sia reso responsabile di questi crimini. Un ex
deputato della regione ha affermato che i keniani di etnia somala sono visti con sospetto
dalle forze di sicurezza e dalla popolazione non somala, perché considerati potenziali
sostenitori degli Shabaab, contro i quali l’esercito keniano sta conducendo un’operazione
militare nel sud della Somalia. L’approssimarsi delle elezioni presidenziali e politiche
del marzo 2013 accresce il rischio di un uso politico delle tensioni sociali ed etniche.
(R.P.)