Moody's declassa la Francia. L'Eurogruppo decide nuova tranche di aiuti alla Grecia
"Nonostante il declassamento del rating da parte di Moody’s, che ha tolto la
tripla A dei Paesi più virtuosi alla Francia, la valutazione del nostro debito resta
tra le migliori del mondo". Così, il ministro dell’economia francese, Moscovici, che
commentando la decisione dell'agenzia americana ribadisce: servono riforme, ma non
ci sarà alcuna perdita di fiducia tra Parigi e Berlino. Per un’analisi, Cecilia
Seppia ha intervistato Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea
all’Università Bocconi di Milano:
R. – Sostanzialmente,
è una cosa che sapevamo già dalle agenzie di analisi, nel senso che la Francia stava
scontando un gap di competitività importante. Certo, questo ci pone il problema
che la crisi non è solo quella crisi dei Paesi, periferici, cattivi, del sud Europa,
ma è una crisi europea e come tale necessita di soluzioni europee.
D. – A monte
di questa decisione di Moody’s il fatto che le riforme annunciate dal presidente francese
Hollande non siano ritenute sufficienti a ritrovare la competitività perduta. Questo
è vero e se è vero come cambiano ora i rapporti con Berlino, ci sarà una perdita di
credibilità della Francia a livello europeo?
R. - Nei fatti, la Francia negli
ultimi due o tre anni, è sempre stata subordinata in qualche modo alle decisioni della
Germania. Solo, soprattutto, Sarkozy era molto in linea con i dettami della Signora
Merkel. Hollande ha provato un po’ a rialzare la testa, imponendo una sua agenda,
ma evidentemente poi si è dovuto scontrare con la realtà dei fatti e questi ultimi
avvenimenti dimostrano questa cosa. Quindi, di fatto, la Germania è l’unico Paese
nel cuore dell’area euro che ha fatto le riforme nel mercato del lavoro che gli consentono
di guadagnare in produttività e quindi presentarsi agli occhi del mondo come un Paese
forte e competitivo, in grado di esportare in tutto il resto del mondo la sua tecnologia.
D.
– Di fatto, alla base c’è sempre la stessa contrapposizione: da un lato, la Merkel
che sostiene più austerità e, dall’altra, La Francia e Paesi come la Francia che chiedono
invece più sviluppo… Si dovrebbe trovare il giusto equilibrio?
R. - Evidentemente,
sull’austerità possiamo in qualche modo modulare bene i termini della questione: è
evidente a tutti che non ha alcun senso fare l’austerità in una situazione di profonda
recessione perché non facciamo altro che peggiorare la situazione. Questo è il primo
punto. Il secondo punto è che però, contrariamente, la Germania può dire queste cose
perché ha già un sistema produttivo al suo interno che è adeguato ai tempi moderni,
Francia e Italia no.
D. – Altro nodo la Grecia. Oggi, l’Eurogruppo deciderà
la nuova tranche di aiuti. Il premier Samaras ha chiesto più coordinamento nell’esecutivo.
Soprattutto, per fronteggiare questo spettro dell’uscita dall’euro. Resta aperta la
questione della ricapitalizzazione delle banche greche, la pressione fiscale è alle
stelle e poi c’è la scure sul mercato del lavoro, sulle pensioni: questo preoccupa
dal punto di vista anche del disagio sociale…
R. – Sì, torniamo al punto di
prima: chiedere austerità in maniera cieca e ossessiva ormai non ha più senso. Se
noi sappiamo che tra un anno dovremo dare uno sconto importante ai debiti greci, non
si capisce perché dobbiamo infliggere ulteriori costi sociali alla Grecia, se non
per salvare la credibilità della cancelliera tedesca. Il governo greco questo lo sa
benissimo e quindi tenta di negoziare fino all’ultimo, solo per evitare di imporre
inutili costi sui cittadini. Detto questo, però, è altrettanto importante distinguere
l’austerità e il lato della domanda, la spesa pubblica, i tagli, che possiamo modulare
con le necessità di fare riforme strutturali: è inutile ammorbidire la domanda oggi,
se domani non creiamo le condizioni per crescere di più. Quindi, io se fossi nei panni
del governo greco, piuttosto chiederei sconti sui tagli, sull’austerità, sulle pensioni,
sui salari, ma andrei con la mano pesante sulla produttività, sull’evasione fiscale,
sulla privatizzazione: cioè, approfitterei dell’occasione per cambiare la pelle al
Paese e farlo presentare agli occhi del mondo con condizioni competitive molto diverse.