Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, apre all’election day: la data
potrà essere solo quella del 10 marzo, giorno in cui si svolgeranno anche le elezioni
regionali nel Lazio, Lombardia e Molise. Un via libera condizionato però all'approvazione
della legge di stabilità e all'accordo su un nuovo sistema di voto. L'indicazione
del Colle è arrivata venerdì sera dopo oltre due ore di incontro tra i vertici dello
Stato, al Quirinale. Si accelerano dunque i lavori sulla riforma elettorale la cui
conclusione è prevista per la prossima settimana, mentre il Pdl, con Alfano, chiede
la convocazione dell’ufficio di presidenza per decidere la formula delle primarie.
Per un commento su questi ultimi sviluppi, Marco Guerra ha sentito Paolo
Pombeni, ordinario di storia dei sistemi politici all'Università di Bologna:
R. – Innanzitutto,
si apre la prospettiva di evitare il pericolo di una crisi di governo al buio, fatta
per ripicca da un lato – perché il Pdl non avrebbe potuto rischiare di avere due elezioni
separate, di cui la seconda prevedibilmente sarebbe stata influenzata dal risultato
della prima -, mentre dall’altro lato accorcia il momento dell’incertezza sul futuro:
ormai, bisogna sapere come si distribuiscono le forze in questo Paese, e quindi prima
si vota e meglio è.
D. – Il presidente della Repubblica pone, tuttavia, come
condizione all’election day, il via libera alla legge di stabilità e la riforma della
legge elettorale. Quest’ultimo obiettivo è alla reale portata dei partiti?
R.
– Con un po’ di buona volontà, sì. Naturalmente, la situazione è un po’ incerta, tanto
incerta che addirittura Napolitano non ha mai posto questa seconda condizione in termini
ultimativi. Ha detto che sarebbe auspicabile: certo, se i partiti sono così insipienti
da non realizzare questa condizione, si sottopongono al rischio di un incremento altissimo
dell’astensione e di una loro totale delegittimazione.
D. – Il nodo principale
per arrivare ad un accordo su più fronti è il premio di maggioranza, su cui restano
le differenze tra Pdl e Udc da una parte e Pd dall’altra …
R. – Sulla soglia
per ottenere il premio di maggioranza dalla coalizione, mi pare che ci sia un sostanziale
accordo su un ripiegamento sul 40 per cento, che è già una soglia abbastanza bassa
se consideriamo che si prospetta un’astensione massiccia. Il vero nodo è il premio
al primo partito, e lì c’è l’impuntatura del Pd per avere il 10 per cento e la ripicca
del Pdl di non volergli concedere così tanto ma di volergli dare un po’ di meno. Se
vogliono essere ragionevoli, una mediazione la trovano; se continuano ad andare avanti
con il gioco delle ripicche, non ne verranno mai fuori …
D. – La data del voto
potrebbe avere forti ripercussioni anche sulle eventuali primarie del Centrodestra
…
R. – Il Centrodestra, che è già fortemente impreparato a queste primarie,
meno tempo ha, peggio ci arriva. Questa cosa riapre l’incognita di Berlusconi: una
certa qual tentazione a rigiocare la carta del padre fondatore del Pdl, c’è …
D.
– Le coalizioni, a questo punto, possono sfaldarsi e ricomporsi sui temi che stanno
sul tappeto in questo momento?
R. – Questo avverrà dopo le elezioni. Quando
i partiti – e quindi le coalizioni – faranno i conti con il loro reale consenso elettorale,
tutto verrà rimesso in gioco: avremo sbandamenti, scissioni interne ai gruppi, ridefinizioni,
tentativi di avere o un governo tecnico o vari tipi di governo politico. Quindi, penso
che dalle urne uscirà una situazione molto, molto movimentata.
D. – I tecnici
resteranno tali o decideranno definitivamente di scendere in politica?
R. –
Tecnici in quanto tali non possono più rimanere, perché sono già diventati politici
in un anno di governo. Il problema è vedere se il futuro governo, magari retto dallo
stesso Monti, punterà su una formazione fatta di tradizionali politici di professione
oppure di politici meno professionisti ma in ogni modo legati ad una qualche coalizione
parlamentare: senza i voti del parlamento, in un sistema parlamentare non si governa!