Medio Oriente: distrutto il quartier generale di Hamas, lanci palestinesi su Tel Aviv
e Gerusalemme
La violenza infiamma in Medio Oriente. Dopo Tel Aviv, anche l’area di Gerusalemme
ieri è stata sfiorata da un lancio di razzi palestinesi, stamani invece un raid israeliano
ha distrutto il quartier generale di Hamas a Gaza. Fonti palestinesi parlano di quasi
30 vittime dall’inizio dell’offensiva, 35 i feriti nell’attacco israeliano di stamani
ad un campo profughi di Burej, nel nord della Striscia di Gaza. In veste di mediatori
dicono la loro gli Stati Uniti, in appoggio di Israele, e l’Egitto, vicino ad Hamas.
Il movimento ha ottenuto anche l’appoggio del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese,
Abu Mazen. Sentiamo Graziano Motta:
Non solo il
presidente americano Obama, ma anche l’Unione Europea e la Russia incoraggiano gli
sforzi del presidente egiziano Morsi per far cessare le ostilità. Il capo dello Stato
si è apertamente dichiarato a favore di una parte – Hamas – assicurando di voler restare
sempre affianco dei suoi dirigenti e che ha accusato l’altra parte – Israele – di
aggressione contro l’umanità. Una mediazione impossibile, per l’establishment
ebraico: così si spiegano le previsioni del generale Eisenberg, capo delle forze armate,
sulla durata del conflitto – sette settimane – e l’apertura dei rifugi pubblici disposta
dal sindaco di Tel Aviv. Un generale turbamento cresce per i missili di provenienza
iraniana che ieri hanno raggiunto pure i dintorni di Gerusalemme e lo storico insediamento
del Gush’Etzion a sud di Betlemme, proprio nel momento in cui il presidente Abu Mazen
afferma che l’aggressione israeliana sta favorendo la ricomposizione dell’unità nazionale
e la riconciliazione palestinese. Sicché, oltre a proseguire i raid aerei su Gaza,
che stanno causando tante vittime – 29 i morti, finora, e più di 250 feriti – Israele
potenzia lo schieramento dei carri armati al confine e prevede il richiamo di altri
45 mila riservisti oltre ai 30 mila annunciati.
In attesa della missione diplomatica
la prossima settimana del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, L’Egitto quindi
torna ad essere protagonista dello scacchiere mediorientale. Dopo aver ritirato il
suo ambasciatore da Tel Aviv, in seguito all’attacco israeliano su Gaza, oggi gli
egiziani sono tornati in prima linea con la visita del premier Kandil nella Striscia.
Quale l’importanza, dal punto di vista strategico, di questa missione? Salvatore
Sabatino, ha girato la domanda a Francesca Paci, già inviata de “La Stampa”
al Cairo:
R. – L’Egitto
è consapevole del fatto di poter giocare un ruolo importantissimo, perché a differenza
dell’ultima operazione contro Gaza nel 2008-2009, non c’è oggi alla guida del Paese
il presidente Mubarak – filo-occidentale e vicino a Israele – ma c’è il presidente
Mohamed Morsi, che viene dai Fratelli musulmani. Quindi, l’Egitto può avere una fortissima
influenza su Hamas – che dalla Fratellanza musulmana deriva – pur avendo accesso alle
Cancellerie internazionali, trattandosi del nuovo governo legittimamente eletto.
D.
– C’è chi dice anche che dietro a questa visita ci siano forti pressioni da parte
di Washington. Se così fosse, Morsi si troverebbe schiacciato tra le spinte “normalizzanti”
della Casa Bianca e quelle dei Fratelli musulmani, il suo partito, che invece hanno
assunto un atteggiamento di forte critica nei confronti di Israele. Come si muoverà?
R.
– In realtà, certamente ci sono pressioni da parte degli Stati Uniti; ci sono pressioni
anche da parte dell’Unione Europea: questa mattina, la cancelliera tedesca Merkel
ha chiesto all’Egitto di farsi mediatore; l’Arabia Saudita ugualmente sta facendo
pressioni. Però, al di là di questo, c’è qualcosa di più: l’Egitto, con Israele, ha
una priorità in comune e non cambia il fatto che al potere in questo momento ci siano
i Fratelli musulmani. Questa priorità è il Sinai, in cui è sempre più opprimente la
minaccia salafita, la minaccia jihadista che è quella che anche Hamas sta fronteggiando
nella Striscia di Gaza.
D. – C’è poi la questione aperta della delicatissima
frontiera del Valico di Rafah, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, che è un punto
delicatissimo anche per Morsi …
R. – Esattamente. Anche se non è una cosa che
può essere ripetuta ad alta voce né ufficialmente in Egitto - perché comunque l’opinione
pubblica egiziana resta ostile a Israele - moltissimi mi confermano che la collaborazione
tra gli eserciti (tra l’esercito egiziano e quello israeliano) e tra l’intelligence
egiziana e quella israeliana è fortissima: continua ad esserlo dopo la caduta di Mubarak
e si è probabilmente rafforzata ancora di più da quando, nel momento di transizione
e nel momento di vuoto di sicurezza, il Sinai è diventato anche più pericoloso. Quindi,
quella è una questione di sicurezza nazionale estremamente importante per l’Egitto
e ovviamente anche per Israele.