2012-11-17 08:10:00

Medio Oriente: distrutto il quartier generale di Hamas, lanci palestinesi su Tel Aviv e Gerusalemme


La violenza infiamma in Medio Oriente. Dopo Tel Aviv, anche l’area di Gerusalemme ieri è stata sfiorata da un lancio di razzi palestinesi, stamani invece un raid israeliano ha distrutto il quartier generale di Hamas a Gaza. Fonti palestinesi parlano di quasi 30 vittime dall’inizio dell’offensiva, 35 i feriti nell’attacco israeliano di stamani ad un campo profughi di Burej, nel nord della Striscia di Gaza. In veste di mediatori dicono la loro gli Stati Uniti, in appoggio di Israele, e l’Egitto, vicino ad Hamas. Il movimento ha ottenuto anche l’appoggio del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. Sentiamo Graziano Motta:RealAudioMP3

Non solo il presidente americano Obama, ma anche l’Unione Europea e la Russia incoraggiano gli sforzi del presidente egiziano Morsi per far cessare le ostilità. Il capo dello Stato si è apertamente dichiarato a favore di una parte – Hamas – assicurando di voler restare sempre affianco dei suoi dirigenti e che ha accusato l’altra parte – Israele – di aggressione contro l’umanità. Una mediazione impossibile, per l’establishment ebraico: così si spiegano le previsioni del generale Eisenberg, capo delle forze armate, sulla durata del conflitto – sette settimane – e l’apertura dei rifugi pubblici disposta dal sindaco di Tel Aviv. Un generale turbamento cresce per i missili di provenienza iraniana che ieri hanno raggiunto pure i dintorni di Gerusalemme e lo storico insediamento del Gush’Etzion a sud di Betlemme, proprio nel momento in cui il presidente Abu Mazen afferma che l’aggressione israeliana sta favorendo la ricomposizione dell’unità nazionale e la riconciliazione palestinese. Sicché, oltre a proseguire i raid aerei su Gaza, che stanno causando tante vittime – 29 i morti, finora, e più di 250 feriti – Israele potenzia lo schieramento dei carri armati al confine e prevede il richiamo di altri 45 mila riservisti oltre ai 30 mila annunciati.

In attesa della missione diplomatica la prossima settimana del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, L’Egitto quindi torna ad essere protagonista dello scacchiere mediorientale. Dopo aver ritirato il suo ambasciatore da Tel Aviv, in seguito all’attacco israeliano su Gaza, oggi gli egiziani sono tornati in prima linea con la visita del premier Kandil nella Striscia. Quale l’importanza, dal punto di vista strategico, di questa missione? Salvatore Sabatino, ha girato la domanda a Francesca Paci, già inviata de “La Stampa” al Cairo:RealAudioMP3

R. – L’Egitto è consapevole del fatto di poter giocare un ruolo importantissimo, perché a differenza dell’ultima operazione contro Gaza nel 2008-2009, non c’è oggi alla guida del Paese il presidente Mubarak – filo-occidentale e vicino a Israele – ma c’è il presidente Mohamed Morsi, che viene dai Fratelli musulmani. Quindi, l’Egitto può avere una fortissima influenza su Hamas – che dalla Fratellanza musulmana deriva – pur avendo accesso alle Cancellerie internazionali, trattandosi del nuovo governo legittimamente eletto.

D. – C’è chi dice anche che dietro a questa visita ci siano forti pressioni da parte di Washington. Se così fosse, Morsi si troverebbe schiacciato tra le spinte “normalizzanti” della Casa Bianca e quelle dei Fratelli musulmani, il suo partito, che invece hanno assunto un atteggiamento di forte critica nei confronti di Israele. Come si muoverà?

R. – In realtà, certamente ci sono pressioni da parte degli Stati Uniti; ci sono pressioni anche da parte dell’Unione Europea: questa mattina, la cancelliera tedesca Merkel ha chiesto all’Egitto di farsi mediatore; l’Arabia Saudita ugualmente sta facendo pressioni. Però, al di là di questo, c’è qualcosa di più: l’Egitto, con Israele, ha una priorità in comune e non cambia il fatto che al potere in questo momento ci siano i Fratelli musulmani. Questa priorità è il Sinai, in cui è sempre più opprimente la minaccia salafita, la minaccia jihadista che è quella che anche Hamas sta fronteggiando nella Striscia di Gaza.

D. – C’è poi la questione aperta della delicatissima frontiera del Valico di Rafah, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, che è un punto delicatissimo anche per Morsi …

R. – Esattamente. Anche se non è una cosa che può essere ripetuta ad alta voce né ufficialmente in Egitto - perché comunque l’opinione pubblica egiziana resta ostile a Israele - moltissimi mi confermano che la collaborazione tra gli eserciti (tra l’esercito egiziano e quello israeliano) e tra l’intelligence egiziana e quella israeliana è fortissima: continua ad esserlo dopo la caduta di Mubarak e si è probabilmente rafforzata ancora di più da quando, nel momento di transizione e nel momento di vuoto di sicurezza, il Sinai è diventato anche più pericoloso. Quindi, quella è una questione di sicurezza nazionale estremamente importante per l’Egitto e ovviamente anche per Israele.








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