Incessanti raid israeliani su Gaza: 40 morti. Intercettato razzo palestinese su Tel
Aviv
Continua a salire il bilancio dei palestinesi uccisi dal fuoco israeliano, finora
sarebbero 42 i morti nella striscia di Gaza, tra loro diversi bambini. Tre invece
le vittime in Israele. Mille finora, come dichiarato da alti vertici militari israeliani,
i raid condotti dall’aviazione israeliana contro le infrastrutture di Hamas. La cronaca
della giornata è di Graziano Motta:
Il fatto
del giorno è l’attivazione nell’area di Tel Aviv della quinta batteria del sistema
antimissilistico, che è infatti riuscita ad intercettare un razzo lanciato da Gaza.
La popolazione era stata allertata dalle sirene, chi non è sceso nei rifugi pubblici
– fatti aprire ieri dal sindaco – ha visto il razzo colpito in cielo e precipitare
avvolto da una nuvola nera. Le altre quattro batterie operano da giorni presso la
frontiera di Gaza e hanno intercettato, secondo fonti ufficiali, ben 222 razzi palestinesi.
I lanci da Gaza sono comunque diminuiti di intensità, forse perché gli incessanti
raid aerei israeliani hanno indebolito la capacità offensiva di Hamas. La scorsa
notte era stata distrutta la sede del governo; vi si è recato oggi il primo ministro
tunisino venuto in visita per esprimere solidarietà ai fondamentalisti islamici e
condanna a Israele. Oggi i raid hanno causato in tutta la Striscia altre vittime,
portando il bilancio a 42 morti e a circa 400 feriti. D’altra parte sono rimasti feriti
tre soldati israeliani presso la frontiera e cinque civili nella città portuale di
Ashdod. Nel mondo arabo numerose le manifestazioni anti-israeliane dopo le preghiere
del venerdì nelle moschee, promotori i Fratelli Musulmani al Cairo, fondamentalisti
islamici a Tunisi e ad Amman dove mai finora si erano sentiti slogan contro il re
di Giordania. Evento inquietante, che ha provocato scontri con i sostenitori del sovrano.
Intanto arrivano le reazioni internazionali a quanto sta accadendo a Gaza e in Israele.
Si sono riuniti questa sera i ministri degli esteri della Lega Araba. Il processo
di pace, incluso il lavoro del Quartetto, è ormai ''privo di esiti'' e quindi ''tutto
questo va riconsiderato daccapo'', ha affermato il segretario generale. Nabil al-Arabi
ha poi ribadito il sostegno ai palestinesi. Condanna anche dalla Turchia. Da parte
sua la Casa Bianca difende Israele: riteniamo che il fattore che ha fatto precipitare
la situazione siano stati i razzi di Gaza, afferma il consigliere alla sicurezza della
Casa Bianca, Ben Rhodes. Dall’Iran arriva invece un appello al mondo islamico affinché
si unisca per compiere azioni di rappresaglia contro Israele. Le autorità egiziane
stanno lavorando ad un cessate il fuoco accettabile per Israele e per Hamas.
Tra
le vittime ci sono anche dei bambini. Un appello alla loro tutela è stato lanciato
dall’Unicef. Al microfono di Benedetta Capelli, Andrea Iacomini portavoce
dell’organismo delle Nazioni Unite:
R. - In queste
ore, siamo molto preoccupati dell’escalation del conflitto. Siamo preoccupati soprattutto
perché a farne le spese sono sempre i bambini. La Striscia di Gaza è una zona chiusa
da cui geograficamente è molto difficile uscire. Dall’altra parte, alcuni bambini
israeliani - quelli che frequentano le scuole proprio a pochi chilometri dalla Striscia
di Gaza - sono stati costretti a rimanere nelle loro case. Quindi la situazione è
complessivamente allarmante. L’Unicef ha lanciato un appello a livello mondiale affinché
le parti in causa cerchino in tutti i modi di evitare a questi bambini delle condizioni
psicologiche traumatiche dovute agli esiti di questo conflitto. Naturalmente l’appello
è affinché queste vite vengano risparmiate. Non poco lontano da questa zona sappiamo
come la violenza colpisca anche la Siria. Anche lì muore più di un bambino al giorno.
Quindi, il quadro della situazione mediorientale ci rende davvero molto preoccupati.
Ci auguriamo – davvero - che tra i palestinesi e gli israeliani prevalga il buon senso.
Non dimentichiamoci che proprio qualche anno fa, durante l’operazione Piombo fuso,
l’Unicef è intervenuta immediatamente non solo perché c’erano stati feriti - c’erano
stati bambini morti -, ma perché molti di loro erano risultati profondamente violati
dagli esiti del conflitto; per violati si intende psicologicamente provati. Ecco perché
è importante un intervento a 360 gradi che non sia solamente basato sull’assistenza,
ma che intenda aiutare questi bambini nel loro percorso psicologico.
D. - Che
tipo di intervento c’è stato da parte dell’Unicef allora con l’operazione Piombo fuso?
C’è ancora un intervento in particolar modo sulla Striscia di Gaza?
R. - L’Unicef
sulla Striscia di Gaza si è occupata di ricostruire - all’epoca dell’operazione Piombo
fuso - le condizioni minime di accesso all’istruzione. Si è cercato di dare ai bambini
un quadro che fosse il più possibile vicino alla normalità; quindi i bambini andavano
a scuola, sono stati messi nelle condizioni di poter - insieme alle loro famiglie
– essere ascoltati da psicologi, da specialisti anche per esempio attraverso disegni
e attraverso il loro modo di esprimersi. Spesso, questi bambini hanno voluto esternare
il loro modo di sentirsi rispetto a quello che stava accadendo, rispetto alle bombe
che gli piovevano in testa. L’Unicef cerca di comprendere così queste situazioni,
cerca di assistere questi bambini, di parlare con le loro famiglie. E lo abbiamo fatto
già al tempo dell’operazione Piombo fuso con un programma molto forte incentrato sia
sulla parte scolastica – quindi provvedendo anche a fornire il necessario, il famoso
kit scolastico che l’Unicef normalmente fornisce in queste situazioni – sia sulla
parte che riguarda una forte assistenza dal punto di vista psicologico con degli esperti,
cioè con delle persone formate e pronte - anche in loco - proprio per intervenire
in questi casi. Poi, naturalmente a quell’epoca c’era stato anche un forte intervento
umanitario, che in questo caso, noi ci auguriamo non debba avvenire.
E razzi
a media gittata in questi giorni sono caduti anche alle porte della città costiera
israeliana di Tel Aviv. Per precauzione il sindaco ha deciso la riapertura di rifugi
pubblici, inutilizzati dal 1960 e installato un nuovo Iron Dome, un sistema di difesa
antimissile. Per una testimonianza su quello che stanno vivendo i cittadini, Cecilia
Seppia ha raggiunto telefonicamente a Tel Aviv David Di Tivoli, editore
italiano che vive lì con la sua famiglia:
R. - Ovviamente
qui viviamo continuamente in apprensione. Non è cosa comune, perché non si ricevevano
razzi a Tel Aviv da molti anni, ma il clima di tensione, comunque, si respira continuamente.
D. - Ci sono soldati schierati, per esempio, per le strade? Il clima è quello
effettivamente di un conflitto reale?
R. - C’è ovviamente una maggiore attenzione
- questo sì - per quanto riguarda i luoghi pubblici, i centri commerciali, che è ovvio
sono considerati sensibili e quindi a rischio di eventuali attentati e c’è meno gente
in giro.
D. - Avete ricevuto indicazioni particolari dalle autorità, attraverso
- ad esempio - sms?
R. - Sì, ci danno delle indicazioni attraverso siti web,
attraverso sms, ma anche tramite la radio e la televisione. Nel momento in cui suona
una sirena - che è un suono che non auguro a nessuno di ascoltare proprio per quel
che rappresenta - devi correre a ripararti! Fortunatamente, a differenza degli abitanti
del sud di Israele, noi abbiamo un pochino di tempo in più: loro in 15 secondi devono
correre a ripararsi, mentre noi ce la facciamo in circa un minuto, perché dopo un
minuto senti l’esplosione fortissima del missile. Comunque dobbiamo rifugiarci all’interno
del Mamad, che è una specie di bunker, che dovrebbe avere ogni palazzo. Ci sono molti
palazzi vecchi, però, che non ce l’hanno: per questo ci sono anche dei bunker pubblici
che proprio in questi giorni sono stati riaperti. Ma come dicevo, quando si ha un
minuto, non si ha neanche il tempo di correre e di andarsi a rinchiudere… In molti
si fermano nella tromba delle scale e ci consigliano di restare tra il secondo e il
terzo piano, perché - se dovessero collassare i piani superiori - sembra che questi
potrebbero reggere un po’ di più.
D. - Come accade sempre in questi momenti,
immagino anche ci sia molta solidarietà tra i cittadini…
R. - C’è una solidarietà
pazzesca, che è veramente incredibile. Io ho conosciuto, finalmente, i miei vicini
di casa in questa maniera: dopo la prima sirena, ci siamo ritrovati sul mio piano.
D. - Tu accennavi prima a questa decisione del sindaco di Tel Aviv che ha
disposto l’apertura di rifugi pubblici ed era dal 1960 che questo non accadeva. Senz’altro,
quindi, una decisione per tutelarvi, ma anche il segno che il conflitto sta diventando
più forte. Qual è la percezione della gente?
R. - Più che la sensazione che
il conflitto stia diventano più forte, credo che non ci si aspettassero razzi su Tel
Aviv, perché in teoria i razzi che si sono lanciati in questi mesi a Tel Aviv non
sono mai arrivati. Si credeva che avessero una gettata più corta… Quindi è determinato
soprattutto da questo: gli abitanti di Tel Aviv, che sono meno abituati di quelli
del sud, in questo momento hanno più paura e hanno più bisogno di garanzie sia a livello
pratico, sia a livello anche psicologico. Queste sono tutte disposizioni per alleviare
quella che è la nostra attuale situazione. Tra l’altro, pare, che questa notte abbiano
istallato un nuovo Iron Dome, che è un sistema di difesa missilistica, proprio qui
alle porte di Tel Aviv e questo perché - se ho capito bene - la guerra dovrebbe proseguire
per circa 7 settimane. Quindi o ci si abitua o si va via da qui o si rimane chiusi
in casa per 7 settimane. Io mi auguro che finisca prima, ma il rischio che vada avanti
ancora per un po’, c’è.