Il parroco anticamorra, don Manganiello, presenta a Roma l'Associazione "Ultimi"
“Noi dobbiamo sconfiggere l’idea che la lotta all’illegalità va confinata solo all’
eroe di turno, ma è una cosa che riguarda tutti, l’importante è far trovare alle mafie
un territorio compatto solo così le potremo battere”. Così, venerdì scorso a Roma
presso il liceo Mamiani, ha spiegato il presidente della provincia di Roma Nicola
Zingaretti, alla presentazione dell'Associazione "Ultimi" fondata da don Aniello
Manganiello, ex parroco di Scampia dove per molti anni ha lottato contro la camorra.
Scopo del gruppo, dare un’aiuto concreto a coloro che vivono nell’indigenza estrema.
Ma ascoltiamo don Manganiello, al microfono di Marina Tomarro:
R. - Questa
Associazione nasce come proseguo di una storia bella ma difficile, com’è stata quella
della mia esperienza di parroco a Scampia per 16 anni. Quell’esperienza così forte,
che mi è entrata nel sangue, nelle vene, attraverso anche i pianti della gente oppressa
dalla camorra, mi ha spinto a fare qualcosa. Di fronte a queste sofferenze, di fronte
al silenzio imposto sulla gente, ho sempre pensato che quella giustizia non potesse
essere saziata in Paradiso, ma che fosse necessario già qui dare delle risposte.
D.
- In che modo si aiutano coloro che hanno fame e sete di giustizia? R. - L’Associazione
ha individuato alcune finalità. Prevede una presenza forte nelle scuole: quindi accompagnare
i ragazzi a scoprire la bellezza della legalità come elemento per fare comunione,
per condividere insieme dei progetti per il bene comune. L’altra finalità principale
è chiedere che i beni confiscati alle mafie siano utilizzati per realizzare strutture
e iniziative di accoglienza per gli ultimi della società, per coloro che non hanno
nulla. L’amore può diventare un termine astratto, ma l’associazione “Ultimi” vuole
farlo diventare una concretezza nella società per dare speranza a chi la speranza
l’ha persa già da tempo o la sta perdendo.
D. - Tornando alla sua esperienza
di Scampia, in che modo ha cercato di dare aiuto a coloro che si sono rivolti a lei?
R.
- Ho cercato di essere un prete di strada, di stare tra la gente, di essere cordiale
anche con i camorristi… Questo mio stare per strada mi ha consentito anche di conoscerli
e se ho negato i Sacramenti molte volte è perché sapevo chi mi trovavo davanti: negare
per proporre percorsi di conversione, di cambiamento e alcuni ce ne sono stati. Quindi
l’ascolto, ma anche la condivisione delle battaglie per i loro diritti e la vicinanza
ai bisogni concreti. Abbiamo messo in cantiere, con la comunità, una serie di iniziative
e grazie a Dio siamo riusciti a fare tanto: a livello di bollette, di aiuti economici
consistenti, di viveri. Questo sicuramente, in quell’arco di 16 anni, ha impedito
a tanti che si trovavano in necessità di ricorrere alla camorra, che lì è un ammortizzatore
sociale. Questa è la battaglia che abbiamo portato avanti, la lotta al disagio sociale:
più si dà una risposta ai bisogni materiali, più si impedisce alla camorra di essere
una organizzazione che risponde ai bisogni, anche materiali e primari della gente.