Gaza. Distrutto quartier generale di Hamas: morti oltre 40 palestinesi, feriti 4 soldati
israeliani
Mattinata di violenze nella Striscia di Gaza e contro Israele. Un ultimo bilancio,
da parte palestinese, parla di oltre 40 vittime, tra cui 8 bambini. Quattro i soldati
israeliani rimasti feriti dal lancio di un razzo. A preoccupare anche le dichiarazioni
del ministro iraniano della Difesa Vahidi che ha invitato il mondo islamico ad azioni
di rappresaglia contro Israele. Benedetta Capelli:
E’ un continuo
botta e risposta tra israeliani e palestinesi. Ieri sera ma anche stamani sono proseguiti
i raid israeliani nella Striscia di Gaza, nel mirino 85 siti "terroristici", completamente
distrutto il quartier generale di Hamas. “Un attacco – replica il numero uno del movimento
Haniyeh – che non ci indebolirà, restiamo sulle nostre posizioni e accanto al popolo”.
Un altro raid ha colpito la casa del ministro dell'Interno palestinese Salah nel campo
profughi di Jabalya, nel nord della Striscia, causando almeno 35 feriti. Oltre una
quarantina i morti – dicono fonti mediche palestinesi – 350 i feriti. Un razzo ha
colpito anche 4 soldati dello Stato ebraico, ferendoli leggermente. Sono 20mila i
riservisti israeliani, dei 75mila convocati, che già sono arrivati nelle loro basi,
sarebbe imminente un attacco di terra che, per gli esperti, dovrebbe durare 7 settimane.
A livello diplomatico è atteso nell’area il segretario generale dell’Onu mentre a
Gaza, dopo la visita ieri del premier egiziano Kandil, oggi è giunto il ministro degli
Esteri tunisino Abdessalem. In una telefonata il presidente americano Obama ha incoraggiato
e invitato l'Egitto a mediare ma al premier israeliano Nethaniau ha ribadito il diritto
all’autodifesa invocato da Israele. “Il mondo islamico si mobiliti contro lo Stato
ebraico”: il pericoloso appello dell’Iran.
Come abbiamo sentito tra le vittime
ci sono anche dei bambini. Un appello alla loro tutela è stato lanciato dall’Unicef.
Al microfono di Benedetta Capelli, Andrea Iacomini portavoce dell’organismo
delle Nazioni Unite:
R. - In queste
ore, siamo molto preoccupati dell’escalation del conflitto. Siamo preoccupati soprattutto
perché a farne le spese sono sempre i bambini. La Striscia di Gaza è una zona chiusa
da cui geograficamente è molto difficile uscire. Dall’altra parte, alcuni bambini
israeliani - quelli che frequentano le scuole proprio a pochi chilometri dalla Striscia
di Gaza - sono stati costretti a rimanere nelle loro case. Quindi la situazione è
complessivamente allarmante. L’Unicef ha lanciato un appello a livello mondiale affinché
le parti in causa cerchino in tutti i modi di evitare a questi bambini delle condizioni
psicologiche traumatiche dovute agli esiti di questo conflitto. Naturalmente l’appello
è affinché queste vite vengano risparmiate. Non poco lontano da questa zona sappiamo
come la violenza colpisca anche la Siria. Anche lì muore più di un bambino al giorno.
Quindi, il quadro della situazione mediorientale ci rende davvero molto preoccupati.
Ci auguriamo – davvero - che tra i palestinesi e gli israeliani prevalga il buon senso.
Non dimentichiamoci che proprio qualche anno fa, durante l’operazione Piombo
fuso, l’Unicef è intervenuta immediatamente non solo perché c’erano stati feriti
- c’erano stati bambini morti -, ma perché molti di loro erano risultati profondamente
violati dagli esiti del conflitto; per violati si intende psicologicamente provati.
Ecco perché è importante un intervento a 360 gradi che non sia solamente basato sull’assistenza,
ma che intenda aiutare questi bambini nel loro percorso psicologico.
D. - Che
tipo di intervento c’è stato da parte dell’Unicef allora con l’operazione
Piombo fuso? C’è ancora un intervento in particolar modo sulla Striscia di Gaza?
R.
- L’Unicef sulla Striscia di Gaza si è occupata di ricostruire - all’epoca dell’operazione
Piombo fuso - le condizioni minime di accesso all’istruzione. Si è cercato di
dare ai bambini un quadro che fosse il più possibile vicino alla normalità; quindi
i bambini andavano a scuola, sono stati messi nelle condizioni di poter - insieme
alle loro famiglie – essere ascoltati da psicologi, da specialisti anche per esempio
attraverso disegni e attraverso il loro modo di esprimersi. Spesso, questi bambini
hanno voluto esternare il loro modo di sentirsi rispetto a quello che stava accadendo,
rispetto alle bombe che gli piovevano in testa. L’Unicef cerca di comprendere così
queste situazioni, cerca di assistere questi bambini, di parlare con le loro famiglie.
E lo abbiamo fatto già al tempo dell’operazione Piombo fuso con un programma
molto forte incentrato sia sulla parte scolastica – quindi provvedendo anche a fornire
il necessario, il famoso kit scolastico che l’Unicef normalmente fornisce in queste
situazioni – sia sulla parte che riguarda una forte assistenza dal punto di vista
psicologico con degli esperti, cioè con delle persone formate e pronte - anche in
loco - proprio per intervenire in questi casi. Poi, naturalmente a quell’epoca c’era
stato anche un forte intervento umanitario, che in questo caso, noi ci auguriamo non
debba avvenire.
E razzi a media gittata in questi giorni sono caduti anche
alle porte della città costiera israeliana di Tel Aviv. Per precauzione il sindaco
ha deciso la riapertura di rifugi pubblici, inutilizzati dal 1960 e installato un
nuovo Iron Dome, un sistema di difesa antimissile. Per una testimonianza su quello
che stanno vivendo i cittadini, Cecilia Seppia ha raggiunto telefonicamente
a Tel Aviv David Di Tivoli, editore italiano che vive lì con la sua famiglia:
R. - Ovviamente
qui viviamo continuamente in apprensione. Non è cosa comune, perché non si ricevevano
razzi a Tel Aviv da molti anni, ma il clima di tensione, comunque, si respira continuamente.
D. - Ci sono soldati schierati, per esempio, per le strade? Il clima è quello
effettivamente di un conflitto reale?
R. - C’è ovviamente una maggiore attenzione
- questo sì - per quanto riguarda i luoghi pubblici, i centri commerciali, che è ovvio
sono considerati sensibili e quindi a rischio di eventuali attentati e c’è meno gente
in giro.
D. - Avete ricevuto indicazioni particolari dalle autorità, attraverso
- ad esempio - sms?
R. - Sì, ci danno delle indicazioni attraverso siti web,
attraverso sms, ma anche tramite la radio e la televisione. Nel momento in cui suona
una sirena - che è un suono che non auguro a nessuno di ascoltare proprio per quel
che rappresenta - devi correre a ripararti! Fortunatamente, a differenza degli abitanti
del sud di Israele, noi abbiamo un pochino di tempo in più: loro in 15 secondi devono
correre a ripararsi, mentre noi ce la facciamo in circa un minuto, perché dopo un
minuto senti l’esplosione fortissima del missile. Comunque dobbiamo rifugiarci all’interno
del Mamad, che è una specie di bunker, che dovrebbe avere ogni palazzo. Ci
sono molti palazzi vecchi, però, che non ce l’hanno: per questo ci sono anche dei
bunker pubblici che proprio in questi giorni sono stati riaperti. Ma come dicevo,
quando si ha un minuto, non si ha neanche il tempo di correre e di andarsi a rinchiudere…
In molti si fermano nella tromba delle scale e ci consigliano di restare tra il secondo
e il terzo piano, perché - se dovessero collassare i piani superiori - sembra che
questi potrebbero reggere un po’ di più.
D. - Come accade sempre in questi
momenti, immagino anche ci sia molta solidarietà tra i cittadini…
R. - C’è
una solidarietà pazzesca, che è veramente incredibile. Io ho conosciuto, finalmente,
i miei vicini di casa in questa maniera: dopo la prima sirena, ci siamo ritrovati
sul mio piano.
D. - Tu accennavi prima a questa decisione del sindaco di Tel
Aviv che ha disposto l’apertura di rifugi pubblici ed era dal 1960 che questo non
accadeva. Senz’altro, quindi, una decisione per tutelarvi, ma anche il segno che il
conflitto sta diventando più forte. Qual è la percezione della gente?
R. -
Più che la sensazione che il conflitto stia diventano più forte, credo che non ci
si aspettassero razzi su Tel Aviv, perché in teoria i razzi che si sono lanciati in
questi mesi a Tel Aviv non sono mai arrivati. Si credeva che avessero una gettata
più corta… Quindi è determinato soprattutto da questo: gli abitanti di Tel Aviv, che
sono meno abituati di quelli del sud, in questo momento hanno più paura e hanno più
bisogno di garanzie sia a livello pratico, sia a livello anche psicologico. Queste
sono tutte disposizioni per alleviare quella che è la nostra attuale situazione. Tra
l’altro, pare, che questa notte abbiano istallato un nuovo Iron Dome, che è
un sistema di difesa missilistica, proprio qui alle porte di Tel Aviv e questo perché
- se ho capito bene - la guerra dovrebbe proseguire per circa 7 settimane. Quindi
o ci si abitua o si va via da qui o si rimane chiusi in casa per 7 settimane. Io mi
auguro che finisca prima, ma il rischio che vada avanti ancora per un po’, c’è.