Medio Oriente nel caos: il premier egiziano a Gaza. Altri due missili palestinesi
a Sud di Tel Aviv
Nessuna tregua a Gaza: neppure durante le tre ore di visita del premier egiziano,
Kandil, nella piccola enclave palestinese sono cessati il lancio di razzi verso il
Sud di Israele e i raid aerei israeliani sulla Striscia. Il bilancio è di altri tre
morti palestinesi e il lieve ferimento di una donna israeliana a Ashdod. Un razzo
di fabbricazione iraniana è caduto questa mattina in mare davanti a Tel Aviv, senza
fare vittime. Kandil ha affermato che l'Egitto farà tutto il possibile per giungere
ad una tregua tra Israele e Hamas. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
Una visita-lampo,
quella del premier Kandil, durata sole tre ore, ma di grande valore, perché l’Egitto
vuole continuare a ricoprire il suo ruolo di mediatore tra Israele ed il mondo arabo;
anche dopo la rivoluzione che ha portato al potere Morsi, che appartiene ai Fratelli
Musulmani, gli stessi presenti nella Striscia di Gaza. Proprio Morsi ha parlato
di "aggressione flagrante contro l'umanità" ed ha assicurato che "Il Cairo non lascerà
sola Gaza". C’è chi ipotizza che dietro la visita di Kandil ci sia stata la forte
spinta degli Stati Uniti, preoccupati per l’escalation di violenza e per il possibile
effetto domino che questa potrebbe avere sullo scacchiere mediorientale. Di fatto
il premier egiziano, che ha già fatto ritorno al Cairo, non è riuscito ad imporre
la tregua parziale, prevista durante la sua permanenza nella Striscia. Sono, infatti,
stati segnalati attacchi diretti sulle città israeliane di Ashqelon e Beer Sheva;
due missili sono caduti presso Tel Aviv, senza provocare vittime. Da parte sua l'ambasciatore
israeliano presso la Santa Sede, in un comunicato, ha ribadito che ha “il diritto
ed il dovere di difendere la sua popolazione”, pur sottolineando che “il popolo palestinese
non è nostro nemico, Hamas e le organizzazioni terroristiche lo sono”. Richiamati
16mila riservisti, e c’è già chi teme che l’operazione di terra sia molto vicina.
Intanto, si registrano le prime reazioni nel vicino Libano: lo sceicco Nasrallah,
leader supremo di Hezbollah, si è detto compiaciuto per il lancio di razzi dalla Striscia
di Gaza, parlando di "uno sviluppo estremamente significativo" nel conflitto con lo
Stato israeliano.
L’Egitto, dunque, torna ad essere protagonista dello scacchiere
mediorientale. Dopo aver ritirato il suo ambasciatore da Tel Aviv, in seguito all’attacco
israeliano su Gaza, oggi gli egiziani sono tornati in prima linea con la visita del
premier Kandil nella Striscia. Quale l’importanza, dal punto di vista strategico,
di questa missione? Salvatore Sabatino, ha girato la domanda a Francesca
Paci, già inviata de “La Stampa” al Cairo:
R. – L’Egitto
è consapevole del fatto di poter giocare un ruolo importantissimo, perché a differenza
dell’ultima operazione contro Gaza nel 2008-2009, non c’è oggi alla guida del Paese
il presidente Mubarak – filo-occidentale e vicino a Israele – ma c’è il presidente
Mohamed Morsi, che viene dai Fratelli musulmani. Quindi, l’Egitto può avere
una fortissima influenza su Hamas – che dalla Fratellanza musulmana deriva – pur avendo
accesso alle Cancellerie internazionali, trattandosi del nuovo governo legittimamente
eletto.
D. – C’è chi dice anche che dietro a questa visita ci siano forti
pressioni da parte di Washington. Se così fosse, Morsi si troverebbe schiacciato tra
le spinte “normalizzanti” della Casa Bianca e quelle dei Fratelli musulmani,
il suo partito, che invece hanno assunto un atteggiamento di forte critica nei confronti
di Israele. Come si muoverà?
R. – In realtà, certamente ci sono pressioni da
parte degli Stati Uniti; ci sono pressioni anche da parte dell’Unione Europea: questa
mattina, la cancelliera tedesca Merkel ha chiesto all’Egitto di farsi mediatore; l’Arabia
Saudita ugualmente sta facendo pressioni. Però, al di là di questo, c’è qualcosa di
più: l’Egitto, con Israele, ha una priorità in comune e non cambia il fatto che al
potere in questo momento ci siano i Fratelli musulmani. Questa priorità è il
Sinai, in cui è sempre più opprimente la minaccia salafita, la minaccia jihadista
che è quella che anche Hamas sta fronteggiando nella Striscia di Gaza.
D. –
C’è poi la questione aperta della delicatissima frontiera del Valico di Rafah, tra
la Striscia di Gaza e l’Egitto, che è un punto delicatissimo anche per Morsi …
R.
– Esattamente. Anche se non è una cosa che può essere ripetuta ad alta voce né ufficialmente
in Egitto - perché comunque l’opinione pubblica egiziana resta ostile a Israele -
moltissimi mi confermano che la collaborazione tra gli eserciti (tra l’esercito egiziano
e quello israeliano) e tra l’intelligence egiziana e quella israeliana è fortissima:
continua ad esserlo dopo la caduta di Mubarak e si è probabilmente rafforzata ancora
di più da quando, nel momento di transizione e nel momento di vuoto di sicurezza,
il Sinai è diventato anche più pericoloso. Quindi, quella è una questione di sicurezza
nazionale estremamente importante per l’Egitto e ovviamente anche per Israele.
Sull’altro
fronte del conflitto israelo-palestinese c’è il Libano, un Paese già in grave difficoltà
per il vicino conflitto siriano e per una situazione politica interna tutt’altro che
normalizzata. Quali sono gli umori che si registrano nel Paese dei Cedri rispetto
a quanto sta accadendo nella vicina Striscia di Gaza? Salvatore Sabatino lo
ha chiesto al collega Lorenzo Trombetta, raggiunto telefonicamente a Beirut:
R. – Le reazioni
sono molto diverse e contrastanti. Riflettono un po’ le divisioni e la pluralità del
panorama sociale e politico libanese. Ci sono i palestinesi dei campi profughi che
ovviamente sono, oltre che preoccupati, solidali con la popolazione di Gaza, sostengono
la linea massimalista e oltranzista della resistenza da parte di Hamas; ci sono invece
quelli che temono che il movimento sciita Hezbollah, che in alcuni casi in passato
si è coordinato con gli attori regionali anti-israeliani, possa lanciare operazioni,
non si sa se su larga scala o su scala ridotta, nel Nord del Libano verso l’Alta Galilea,
per distrarre Israele o comunque per mostrare solidarietà con Gaza. C’è poi invece
– e qui la questione siriana ha una sua importanza in Libano – chi guarda a Damasco
e chi guarda ai numerosi profughi siriani che da circa un anno e mezzo ormai affollano
il Libano; si teme che la guerra di Gaza, o comunque questi intensi raid israeliani
su Gaza, possano in un certo senso far dimenticare quello che avviene lì vicino e
confondere anche lo sguardo degli osservatori internazionali, che di fatto sostengono
i profughi siriani e sono solidali con loro. Quello che accade a Gaza è molto simile
a quello che sta accadendo in queste ore – e da 18 mesi e anche più – in Siria.
D.
– C’è il timore tra la gente che il conflitto possa allargarsi fino ad un coinvolgimento
del Libano?
R. – Il timore c’è, anche se sul terreno il movimento sciita Hezbollah
che sarebbe, di fatto, il primo attore coinvolto in un eventuale allargamento, non
sembra avere interessi regionali e politici ad "infilarsi" in una guerra più o meno
aperta con Israele. Perderebbe molto consenso all’interno del Libano, perché il Libano
e il suo governo, in generale, ma anche la gente non hanno certo interesse a ritrovarsi
sotto le bombe, come accadde nel 2006; e, in generale, non è chiaro quanto Hezbollah
in questo senso preferisca dare la priorità alla sua agenda regionale, e quindi coordinarsi
con l’Iran e con il suo alleato Hamas, e quanto invece preferisca dare priorità alla
sua agenda politica interna. Anche qui, l’anno prossimo, nella primavera del 2013,
ci saranno le elezioni e quindi anche in questo caso – e non soltanto nel caso di
Israele e di Hamas – i conti con l’elettorato vanno fatti.