Il Consiglio italiano per i rifugiati presenta il Rapporto sul diritto all'unità familiare
In Italia, dall’inizio del 2012, 65.300 cittadini stranieri hanno presentato domanda
di ricongiungimento familiare. Il diritto all’unità delle famiglie è particolarmente
importante per coloro che chiedono asilo e protezione umanitaria: proprio a loro è
dedicato il Rapporto “Ritrovarsi per ricostruire”, presentato ieri dal Consiglio italiano
per i rifugiati. Davide Maggiore ha chiesto a Christopher Hein, che
ne è il direttore, quale quadro emerge dal dossier:
R. – Un rifugiato
riconosciuto - che si trova quindi regolarmente in Italia ma che ha dovuto lasciare
i propri familiari o nel Paese d’origine o in un Paese di transito - trova moltissime
difficoltà a procedere alla realizzazione del suo diritto di riformare l’unità della
famiglia. Le difficoltà sono innanzitutto dal punto di vista delle procedure amministrative,
a volte molto complesse anche solo per evidenziare il vincolo familiare che esiste.
Poi, c’è l’altro elemento delle condizioni materiali e sociali: è impossibile pensare
che arrivi il coniuge o il familiare del rifugiato riconosciuto e che il rifugiato
non abbia una casa, un lavoro e quindi le reali possibilità per accogliere i suoi
cari.
D. – Da questo punto di vista, cosa è stato fatto e cosa si può ancora
fare?
R. – Si è fatto qualcosa, che è però ancora a livello di progetti che
riguardano interventi mirati per determinati gruppi di rifugiati. Non c’è un vero
programma che faccia sì che i rifugiati abbiano una effettiva possibilità di vivere
in Italia.
D. – Quali sono le conseguenze di un prolungato distacco dalla famiglia,
per un rifugiato?
R. – Il rifugiato tende a guardare verso ciò che ha dovuto
lasciare nel Paese di origine e quindi una separazione prolungata fa sì che spesso
le persone entrino in uno stato depressivo. La riunificazione della famiglia, invece,
potrebbe essere d’aiuto per guardare al futuro, per costruirsi una nuova vita.
E
sulle conseguenze positive delle riunificazioni familiari per i rifugiati, Davide
Maggiore ha sentito il parere di Helena Behr, della sezione protezione
dell’Acnur Italia:
R. – L’integrazione
è una conseguenza dell’unità familiare. Grazie all’unità e al ricongiungimento familiare,
si può iniziare a pensare a un processo di integrazione. L’unità e il ricongiungimento
familiare sono estremamente importanti anche per i componenti della famiglia rimasti
nei Paesi di origine o in Paesi di asilo di transito, nei quali possono essersi rifugiati:
parliamo dei parenti dei rifugiati, di persone che sono fuggite per motivi di persecuzione
o di guerra. Il ricongiungimento familiare, in alcuni casi, è anche un modo per garantire
la loro sicurezza.
D. – Cosa possono fare gli Stati di destinazione, in particolare
gli Stati dell’Unione Europea, per garantire al meglio questo diritto?
R. –
Al diritto all’unità familiare corrisponde, chiaramente, un obbligo, una responsabilità
degli Stati nel facilitare il più possibile il ricongiungimento familiare. L’Unhcr
promuove l’istituzione di procedure che tengano conto delle condizioni specifiche
dei rifugiati e delle loro difficoltà, ad esempio, a ottenere documenti - come un
documento di viaggio, un visto - o a raggiungere zone sicure come le ambasciate, a
dimostrare il legame di parentela… Quindi, procedure che tengano conto di tutti questi
ostacoli e di queste difficoltà, così da poter facilitare il più possibile il ricongiungimento
familiare.