Sulle alture del Golan torna la calma dopo le tensioni tra Israele e Siria
sulle alture del Golan è tornata la calma dopo la tensione tra Israele e Siria, mentre
le autorità israeliane parlano con sempre più insistenza della possibilità di un’operazione
militare contro Gaza. Per capire la strategia di Israele nel quadro attuale di escalation
in tutta la regione, Fausta Speranza ha intervistato il prof. Claudio Lo
Jacono, direttore della rivista "Oriente moderno":00:03:04:20
R.
– Non sono soltanto la Siria e la Palestina, ma - ricordiamoci – è incombente sempre
la questione iraniana. Le motivazioni della guerra civile siriana sono estranee alla
questione palestinese, che è la questione dirompente da oltre mezzo secolo dell’area
del vicino Oriente, che non ha mai trovato un equilibrio dalla nascita di Israele
in poi. Le questioni della guerra civile siriana sono di un’opposizione contro il
regime dinastico familiare. Naturalmente, però, in un quadro sinistrato come quello
della Siria e con un quadro anche abbastanza pericolante come quello dell’Egitto,
Israele cerca di approfittare, per rafforzare la sua sicurezza, che è l’argomento
principale che la preoccupa e la occupa. Israele approfitta di un quadro di assoluta
difficoltà del mondo arabo: panarabismo morto e sepolto; la Siria in preda al dramma
della guerra civile; l’Egitto con un nuovo presidente democraticamente eletto, non
moderato per alcuni versi anche se intenzionato a mantenere una politica di non chiusura
verso Israele e Iraq, che ha subito decenni di dittature, di guerre, di terrorismo
interno; il Libano scosso anch’esso da problemi che non sono soltanto suoi interni,
ma per lo più esterni. In questo quadro, Israele ha tutto da guadagnare nell’imporre
la sua visione della sua sicurezza.
D. – A fine mese, il 29 novembre, Abu
Mazen sarà di nuovo alle Nazioni Unite per chiedere il riconoscimento di Stato non
membro, un passo avanti rispetto alla definizione attuale di entità osservatrice.
Ma ha qualche speranza, secondo lei?
R. – Assolutamente non credo ve ne siano...
Credo che Abu Mazen cerchi di uscire da una posizione d’immobilismo della quale ha
anche responsabilità, in parte, l’Autorità palestinese ma assai più Israele. In questa
situazione di totale stallo e addirittura arretramento di fronte a quelle che erano
state le promesse di Camp David e degli accordi di Oslo, c’è il tentativo puramente
d’immagine di chiedere una collocazione internazionale dell’Autorità palestinese,
ma è praticamente sicuro che ci sarà il veto statunitense, che si muove sempre in
favore di Israele in queste circostanze, finché non si arriverà - non si sa mai come
o quando – alla realizzazione dei due popoli su un territorio.
D. – La riconferma
di Obama, però, in qualche modo non era quello che Israele sperava, perché c’è tensione
sul tema degli insediamenti tra Obama e Israele...
R. – Sì, certamente Israele
sarebbe stato molto più contento della vittoria del suo antagonista, ma Obama si è
affrettato, anche negli anni precedenti al suo primo mandato, a fare ampie dichiarazioni
di rassicurazione nei confronti di Israele. Sappiamo perfettamente che l’elettorato
ebraico negli Stati Uniti è molto forte e una linea anti Israele non sarebbe assolutamente
fruttuosa per i candidati a cariche politiche così importanti.
E intanto sono
in corso i lavori per la riesumazione della salma del leader dell’OLP Yasser Arafat
e stabilire le cause della sua morte. Al termine degli scavi, tra un paio di settimane,
una equipe di tecnici svizzeri, che aveva scoperto le tracce di polonio sugli effetti
personali del leader palestinese, preleverà dei campioni che saranno poi analizzati
per provare o smentire la tesi di avvelenamento.