L'Europa si mobilita contro la crisi.Scontri con feriti e arresti in tutta Italia
Giornata di mobilitazione europea della confederazione dei sindacati su lavoro e solidarietà
contro l’austerity. In Italia la Cgil ha proclamato uno sciopero che è coinciso con
quello di Cobas e Cub per la scuola e ha portato in 100 piazze i manifestanti. Dalla
leader Camusso un duro attacco al governo, mentre in molte città la protesta è degenerata
provocando arresti e feriti anche tra le forze dell'ordine. Gabriella Ceraso:
"Se pensano
di togliere i contratti nazionali e ridurre i salari non hanno capito nulla di cosa
sta accadendo oggi nel Paese", l’austerità strangola e il lavoro e toglie speranza.
E’ il grido d’allarme della leader Cgil Camusso che dal Governo esige risposte per
le fasce piu' debole e da Uil e Cisl la non rassegnazione. ”Oggi siamo tutti nelle
piazze" dice parlanod da Terni "a chiedere che l'Europa viva e sopravviva, ma cambi
politica”. Dunque gli scioperi paralizzano oggi contemporaneamente la Grecia, sull’orlo
del fallimento, la Spagna, protestano i sindacati a Bruxelles davanti alle ambasciate,
danneggiata quella tedesca. Gravi disagi ma soprattutto scontri e feriti in tutta
Italia. A Roma la situazione è degenerata su lungotevere con lancio di pietre e cassonetti
usati contro la polizia, che ha disperso i manifestanti con i blindati.Una cinquantina
i fermati. Di attacco squadristico parla il sindaco di torino Fassino, per l’occupazione
di numerosi palazzi istituzionali : 3 gli agenti feriti , 2 a Padova e tre gli studenti
arrestati a Brescia. Bloccata a lungo la stazione di Napoli mentre si registrano numerosi
atti di vandalismo contro le banche.
La mobilitazione europea di oggi evidenza
le grandi difficoltà che un intero continente sta vivendo, proprio in seguito alla
crisi. Salvatore Sabatino ha chiesto un’analisi su questa situazione al sociologo
Nadio Delai:
R. - C’è una
tensione tra i popoli e le loro classi dirigenti politiche, ma anche economiche, sociali
e culturali. Quando vince quello che io chiamo il "pensiero-gregge", cioè tutti la
pensano alla stessa maniera, la situazione si fa difficile. Prima, il pensiero-gregge
cantava le lodi dello sviluppo e della globalizzazione, adesso canta quelle del rigore.
Questo passaggio unitario dalle due parti, senza considerare che alla base ci sono
le economie e le società reali, provoca le tensioni in oggetto.
D. - Può essere
anche un segnale di scollamento rispetto alla politica che ha agito senza tener conto
delle istanze della popolazione, quindi della quotidianità dei problemi reali?
R.
- C’è un indicatore forte di questa frattura che, ripeto, è nei confronti della politica
in primo luogo, ma anche delle altri classi dirigenti: vicino alla "bolla" finanziaria,
è scoppiata la bolla delle attese sociali crescenti. Tutti speravamo di andare meglio
e anche le nostre classi dirigenti ci raccontavano che domani sarebbe stato meglio
di oggi e dopodomani meglio di domani. Non basta dire, quando si gira il ciclo, "è
finita la festa". Una classe dirigente ha l’onere di inventarsi un’apertura verso
il futuro, a costo di sbagliare.
D. - Insomma, il soggetto che manca in questo
momento è la speranza…
R. - E’ l’atteggiamento condiviso tra popolo e classe
dirigente, o meglio tra classe dirigente e popolo, che è un onere fondamentale, sempre.
Essere in sintonia al rialzo, non al ribasso, con i propri popoli. Quindi, si deve
inventare con realismo, e anche con rischio, dove si può andare insieme, suscitando
speranza e voglia di farcela. Se non c’è questo, e c’è solo la parte "rigore e finanza",
è chiaro che i Paesi reali vanno da un’altra parte, pericolosamente e suscitando anche
le ondate di populismo di oggi e forse di domani.
D. - E quale potrebbe essere
la ricetta per far incontrare nuovamente le classi dirigenti con la popolazione?
R.
- Temo che non ci siano ricette finali, perché questa è una consapevolezza fondamentale
che devono assumersi tutte le classi dirigenti, senza passare sempre solo il "cerino"
alla politica perché le altre hanno lo stesso problema. Bisogna interrogarsi e guardarsi
allo specchio e sapere che una delle funzioni fondamentali delle classi dirigenti
è quella di interpretare il mondo come va, ma poi è quella di far proposte e quando
fai proposte e susciti speranze, è chiaro che una cosa la indovini e due le sbagli.
Quindi questo rischio c’è, come diceva Zagrebelsky, quando presentai il primo rapporto
sulla classe dirigente: c’è poca classe dirigente e molta classe gerente. Eravamo
immediatamente prima della crisi. Credo che questo sia un commento adeguato per la
situazione che viviamo.
D. - Una cosa positiva forse c’è: queste manifestazioni
danno comunque il senso di una società, quella europea, ancora vivace e capace di
reagire…
R. - Voglio sperare di sì, nel senso che è un problema di sentimenti.
Io ho fatto tante indagini: tendono a prevalere i sentimenti bassi, cioè paura, timore,
rabbia, indignazione, ma ci sono anche, contemporaneamente, sentimenti di speranza
e di futuro. Ecco perché la sintonia al rialzo è compito di tutte le classi dirigenti:
risvegliare, inseguire, sollecitare quella parte di sentimenti di ripartenza di cui
abbiamo bisogno quando un ciclo si chiude, un ciclo economico, politico persino geo-economico,
e se ne apre un altro. Lì si gioca la nuova classe dirigente che deve intuire il nuovo
e lanciare il cuore oltre l’ostacolo.