2012-11-14 13:30:52

L'Europa si mobilita contro la crisi.Scontri con feriti e arresti in tutta Italia


Giornata di mobilitazione europea della confederazione dei sindacati su lavoro e solidarietà contro l’austerity. In Italia la Cgil ha proclamato uno sciopero che è coinciso con quello di Cobas e Cub per la scuola e ha portato in 100 piazze i manifestanti. Dalla leader Camusso un duro attacco al governo, mentre in molte città la protesta è degenerata provocando arresti e feriti anche tra le forze dell'ordine. Gabriella Ceraso: RealAudioMP3

"Se pensano di togliere i contratti nazionali e ridurre i salari non hanno capito nulla di cosa sta accadendo oggi nel Paese", l’austerità strangola e il lavoro e toglie speranza. E’ il grido d’allarme della leader Cgil Camusso che dal Governo esige risposte per le fasce piu' debole e da Uil e Cisl la non rassegnazione. ”Oggi siamo tutti nelle piazze" dice parlanod da Terni "a chiedere che l'Europa viva e sopravviva, ma cambi politica”. Dunque gli scioperi paralizzano oggi contemporaneamente la Grecia, sull’orlo del fallimento, la Spagna, protestano i sindacati a Bruxelles davanti alle ambasciate, danneggiata quella tedesca. Gravi disagi ma soprattutto scontri e feriti in tutta Italia. A Roma la situazione è degenerata su lungotevere con lancio di pietre e cassonetti usati contro la polizia, che ha disperso i manifestanti con i blindati.Una cinquantina i fermati. Di attacco squadristico parla il sindaco di torino Fassino, per l’occupazione di numerosi palazzi istituzionali : 3 gli agenti feriti , 2 a Padova e tre gli studenti arrestati a Brescia. Bloccata a lungo la stazione di Napoli mentre si registrano numerosi atti di vandalismo contro le banche.

La mobilitazione europea di oggi evidenza le grandi difficoltà che un intero continente sta vivendo, proprio in seguito alla crisi. Salvatore Sabatino ha chiesto un’analisi su questa situazione al sociologo Nadio Delai:RealAudioMP3

R. - C’è una tensione tra i popoli e le loro classi dirigenti politiche, ma anche economiche, sociali e culturali. Quando vince quello che io chiamo il "pensiero-gregge", cioè tutti la pensano alla stessa maniera, la situazione si fa difficile. Prima, il pensiero-gregge cantava le lodi dello sviluppo e della globalizzazione, adesso canta quelle del rigore. Questo passaggio unitario dalle due parti, senza considerare che alla base ci sono le economie e le società reali, provoca le tensioni in oggetto.

D. - Può essere anche un segnale di scollamento rispetto alla politica che ha agito senza tener conto delle istanze della popolazione, quindi della quotidianità dei problemi reali?

R. - C’è un indicatore forte di questa frattura che, ripeto, è nei confronti della politica in primo luogo, ma anche delle altri classi dirigenti: vicino alla "bolla" finanziaria, è scoppiata la bolla delle attese sociali crescenti. Tutti speravamo di andare meglio e anche le nostre classi dirigenti ci raccontavano che domani sarebbe stato meglio di oggi e dopodomani meglio di domani. Non basta dire, quando si gira il ciclo, "è finita la festa". Una classe dirigente ha l’onere di inventarsi un’apertura verso il futuro, a costo di sbagliare.

D. - Insomma, il soggetto che manca in questo momento è la speranza…

R. - E’ l’atteggiamento condiviso tra popolo e classe dirigente, o meglio tra classe dirigente e popolo, che è un onere fondamentale, sempre. Essere in sintonia al rialzo, non al ribasso, con i propri popoli. Quindi, si deve inventare con realismo, e anche con rischio, dove si può andare insieme, suscitando speranza e voglia di farcela. Se non c’è questo, e c’è solo la parte "rigore e finanza", è chiaro che i Paesi reali vanno da un’altra parte, pericolosamente e suscitando anche le ondate di populismo di oggi e forse di domani.

D. - E quale potrebbe essere la ricetta per far incontrare nuovamente le classi dirigenti con la popolazione?

R. - Temo che non ci siano ricette finali, perché questa è una consapevolezza fondamentale che devono assumersi tutte le classi dirigenti, senza passare sempre solo il "cerino" alla politica perché le altre hanno lo stesso problema. Bisogna interrogarsi e guardarsi allo specchio e sapere che una delle funzioni fondamentali delle classi dirigenti è quella di interpretare il mondo come va, ma poi è quella di far proposte e quando fai proposte e susciti speranze, è chiaro che una cosa la indovini e due le sbagli. Quindi questo rischio c’è, come diceva Zagrebelsky, quando presentai il primo rapporto sulla classe dirigente: c’è poca classe dirigente e molta classe gerente. Eravamo immediatamente prima della crisi. Credo che questo sia un commento adeguato per la situazione che viviamo.

D. - Una cosa positiva forse c’è: queste manifestazioni danno comunque il senso di una società, quella europea, ancora vivace e capace di reagire…

R. - Voglio sperare di sì, nel senso che è un problema di sentimenti. Io ho fatto tante indagini: tendono a prevalere i sentimenti bassi, cioè paura, timore, rabbia, indignazione, ma ci sono anche, contemporaneamente, sentimenti di speranza e di futuro. Ecco perché la sintonia al rialzo è compito di tutte le classi dirigenti: risvegliare, inseguire, sollecitare quella parte di sentimenti di ripartenza di cui abbiamo bisogno quando un ciclo si chiude, un ciclo economico, politico persino geo-economico, e se ne apre un altro. Lì si gioca la nuova classe dirigente che deve intuire il nuovo e lanciare il cuore oltre l’ostacolo.







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