Emirati Arabi: raduno dei giovani cattolici del Medio Oriente. Mons. Hinder: la Chiesa
li sostiene
Oltre 1.500 giovani cattolici residenti in Medio Oriente ma provenienti da diverse
nazioni del mondo, sono riuniti da ieri, nella Cattedrale di San Giuseppe ad Abu Dhabi,
negli Emirati Arabi, per tre giorni di riflessione e preghiera. A presiedere l’assemblea,
i vicariati apostolici dell’Arabia del Nord e del Sud. Lucia Fiore ha chiesto
a mons. Paul Hinder, vicario apostolico dell’Arabia del Sud, quale significato
assuma per i giovani cattolici mediorientali l’Anno della Fede:
R. – Noi abbiamo
iniziato l’Anno della Fede con celebrazioni ufficiali nelle parrocchie, ma anche a
livello di vicariato. La maggioranza dei fedeli sono arabi, ma vivono in questo contesto
e il nostro problema – un po’ come ovunque – è come far vivere la fede alla gioventù
che è esposta a tutti gli influssi della società che la circonda; studiano nelle scuole,
lavorano con gli altri … Non è sempre facile, per loro, mantenere la fedeltà, in questo
contesto. Quindi, anche l’incontro che andiamo a fare ha un po’ questo scopo: aiutare
la solidarietà tra la gioventù cattolica, sentire che non sono soli nelle difficoltà;
siamo tanti che combattiamo un po’ la stessa lotta per la fede in questo contesto
sociale nel quale viviamo, nel quale siamo stranieri e dove rimaniamo stranieri, con
le diverse nazionalità, e così rafforzarci vicendevolmente nel nostro amore per Cristo,
nel nostro vivere nella Chiesa nonostante le difficoltà che possono presentarsi in
questa parte del mondo.
D. – Quali sono le difficoltà e le speranze dei giovani
cristiani nel mondo arabo?
R. – Dove viviamo noi, la preoccupazione di tanti
è: "Possiamo rimanere? Troveremo lavoro? Come possiamo studiare? E dove?". E poi ancora:
"Qual è il nostro futuro?". Perché per la stragrande parte di questi giovani il futuro
non sarà in questi Paesi: loro sono qui temporaneamente e quindi pensano già oltre,
al momento in cui lasceranno il Paese. Questo condiziona anche un po’ il loro inserimento
o il loro non-inserimento nelle società di questi Paesi dove sanno di non poter rimanere
per sempre. L’esperienza della fede, quindi, si vive in questo status di pellegrinaggio
esistenziale, e sono soprattutto i giovani che vivono tra mondi diversi e questo non
passa inosservato, nemmeno nella loro esperienza di fede. Questo è il nostro lavoro
di pastori e di sacerdoti: aiutare la gioventù in questo passaggio.
D. – Come
la Chiesa sta vivendo il cambiamento indotto dalla cosiddetta "Primavera araba"?
R.
– Questa "Primavera araba" si sente poco, dove sono io, negli Emirati Arabi Uniti,
o anche in Oman … Forse si sente di più nello Yemen, ma lì c’è una situazione molto
particolare, anche storicamente. Inoltre, ci sono pochi cristiani tra la popolazione
dello Yemen. Qui, negli Emirati, siamo piuttosto osservatori e meno attivisti in questo
processo. Non vedo, per domani, un cambiamento sostanziale. Ovviamente, quando passiamo
ad altri Paesi, la situazione è diversa. E’ chiaro che le persone che vengono dalla
Siria, o dall’Egitto, o dall’Iraq, o dal Libano vivono questa situazione con una tensione
molto maggiore rispetto a chi viene dalle Filippine o dall’India o dall’America Latina.
(L.F.)