L'impegno dei Padri bianchi contro vecchie e nuove schiavitù
Le vecchie e nuove schiavitù del continente africano sono rievocate dalle immagini
della mostra fotografica “Spezziamo le catene!”, allestita in questi giorni
alla Chiesa del Gesù di Roma dai Missionari d’Africa, Padri bianchi e suore bianche,
nel 125.mo anniversario della Campagna Antischiavista del loro fondatore, il cardinale
Charles Lavigerie. Nella Chiesa romana sono previste anche una serie di conferenze
e una speciale celebrazione eucaristica. Il senso dell’iniziativa nelle parole di
padre Paolo Costantini, missionario, direttore del bimestrale dei Padri bianchi
“Africa missione-cultura” che organizza l’esposizione. L’intervista è di Fabio
Colagrande:
R. - Per noi,
missionari d’Africa, ha un significato enorme. Prima di tutto perché possiamo celebrarlo
qui, alla Chiesa del Gesù, che è una delle chiese dalle quali il cardinale Lavigerie
lanciò questa campagna contro lo schiavismo. Era rimasto impressionato dalle lettere
che riceveva dai missionari, dai primi missionari, che andavano nel continente. Decise
allora di lanciare questa campagna contro questa vergogna della nostra civiltà: lo
fece a Parigi, lo fece a Londra e lo fece anche qui a Roma, proprio nella Chiesa del
Gesù. Per noi è un impegno, per noi stessi è un impegno: l’impegno del cardinale deve
continuare ancora oggi. La schiavitù non è finita! Anche se ufficialmente e legalmente
è stata abolita, continua purtroppo ancora oggi, in tante forme: non sono più le navi
negriere - questo è chiaro! - però sappiamo benissimo che ci sono le "carrette" del
Mediteranno, che sono forse anche peggio delle navi negriere per tanti! Questa schiavitù
è legata al debito internazionale, al furto legale che le grosse società fanno in
Africa, riducendo alla miseria tanta gente e obbligando anche dei bambini a lavorare,
anche a prostituirsi…
D. - In sintesi, qual è la presenza oggi di questi missionari
in Africa?
R. - Siamo presenti in tanti ambienti: nelle parrocchie evidentemente
e nelle scuole, io personalmente sono stato responsabile delle scuole in Congo, nel
Kivu, per tanti anni; negli ospedali e nei centri di assistenza sociale; nella formazione,
soprattutto nella formazione di nuovi sacerdoti, di catechisti, di laici; nei mass
media e io personalmente mi sento pienamente missionario d’Africa lavorando nei mass
media e lo faccio appunto come vocazione missionaria; ma ancora nei campi profughi,
nelle carceri, dove abbiamo dei padri che lavorano. Ovunque, laddove ci sia bisogno
di difendere i diritti umani, la libertà e la dignità della persona umana, che stavano
così a cuore al nostro fondatore. Per me essere missionari vuol dire portare un po’
di speranza agli altri. Ricordo il mio confratello svizzero, poeta, che definì il
missionario come una espressione che è veramente molto difficile da tradurre in italiano,
io ho provato a tradurla così: “Noi siamo i missionari degli spolveratori di stelle,
che fanno risplendere le stelle, oggi, dove nessuno guarda più in alto, dove le stelle
sono coperte da tutto lo smog, dall’inquinamento materiale e morale. Tocca a noi spolverare
le stelle, affinché brillino di nuovo, per dar speranza all’umanità”.
D. -
Questo anniversario, nelle sue speranze, nelle vostre speranze, dovrebbe rilanciare
lo spirito della campagna di 125 anni fa…
R. - Lo spirito nel quale io e i
miei collaboratori abbiamo preparato questa mostra è proprio quello della denuncia
di questa nuove schiavitù che ci sono. Tanti lo fanno e noi aggiungiamo la nostra
voce a quella tanti, affinché la nostra società prenda coscienza che siamo ancora
oggi degli schiavisti. Considero il mio ruolo come direttore della rivista "Africa"
come quello di dire: "Guardate, l’Africa è un Paese ricchissimo, è un Paese bellissimo,
con un’umanità ricca di tante cose". In 15 anni di Congo, ho imparato moltissimo dalla
gente: mi hanno insegnato l’amore per gli altri. Come missionario devo urlare, alto
e forte, che sono figli di Dio, come me! Anche se hanno la pelle nera, il sangue ha
lo stesso colore!