2012-11-12 14:31:29

Nove anni fa la strage di Nassiriya. L'Italia ricorda i suoi caduti in missioni di pace


Nove anni fa, avveniva la strage di Nassiriya: un violento attentato al contingente militare italiano in Iraq provocò la morte di 28 persone, tra cui 19 carabinieri. Da quattro anni, ogni 12 novembre si celebra la Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali di pace. Commozione è stata espressa dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mentre a Roma, presso la Basilica di Santa Maria in Aracaoeli, l’arcivescovo, ordinario militare, mons. Vincenzo Pelvi ha presieduto una celebrazione eucaristica. "I caduti in missione di pace – ha detto – non moriranno mai". Al microfono di Paolo Ondarza, la riflessione di mons. Franco Sardi Sartori, cappellano del Quirinale:RealAudioMP3

R. – Oggi, ricordiamo tutti i militari di tutte le armi e anche i civili che hanno partecipato a queste missioni. Ricordiamo, infatti, che nel primo grande gruppo dei caduti di Nassirya c’erano anche civili, che operavano all’interno della missione.

D. – Perché è importante ricordarli?

R. – Perché chi compie opere buone, va ricordato. Il Signore sicuramente annota nel libro della vita tutti questi gesti. E’ bene, però, che anche la società si ricordi di loro, perché se ciascuno – familiari, amici o commilitoni – porta da solo la propria croce nelle proprie case, si finisce per pensare che i grandi sacrifici dei caduti siano dimenticati. Invece, è importante che la società ricordi il loro martirio, il loro sacrificio, la loro dedizione.

D. – Oggi, la società non riconosce sufficientemente il valore di questi caduti?

R. – Non credo. Al di là di frange, credo che complessivamente la gran parte degli italiani comprenda questi sacrifici.

D. – Tra i caduti che oggi ricordiamo, tra queste persone, ce ne sono alcune che si sono distinte per la loro testimonianza cristiana?

R. – Mi verrebbe da dire tutti, anche se so che dire tutti, vuol dire banalizzare. E’ difficile che, nell’arco di una missione di pace, non ci sia una fetta di militari che costruisce un ponte di carità, di affetto, di stima, di amore verso le frange sociali più deboli del luogo in cui si svolge il loro servizio e che non continui poi anche dopo – finita la missione – a conservare questi legami con adozioni a distanza, sostegno per iniziative sanitarie, scolastiche, lavorative. Tutte queste non si conoscono perché fanno rientrano in un ambito privato, segreto, riservato, personale della vita dei militari. Ho presente in questo momento la vedova di qualcuno di loro, che continua anche oggi continua a portare avanti l’impegno che aveva preso il marito, che ovviamente ora non c’è più.

D. – Lei, non a caso, ha parlato di martirio. Si può vivere e portare il Vangelo anche in contesti di guerra?

R. – Fondamentalmente, il soldato va lì per fare il soldato. Dopo di che, dal farlo solo per adempiere a un ordine al farlo con una ricchezza interiore, che dà anche una valenza spirituale alla propria missione, il passaggio è semplice.

D. – In occasione dell’Anno della Fede in corso, l’Ordinariato militare ha lanciato l’iniziativa “Testimoni della fede nel mondo militare”, per far conoscere questi testimoni, perché ce ne sono stati e, probabilmente, continuano ad essercene molti...

R. – Sì, parliamo di figure altissime come Papa Giovanni XXIII, che è stato soldato caporale sergente dell’allora 73.mo Reggimento Fanteria dal 1901 al 1902 e tenente cappellano all’ospedale militare di Bergamo dal 1915 al 1917. O don Gnocchi, che è pure Beato, e fu cappellano militare egli Alpini. Ci sono poi anche tanti soldati, che hanno dato un’intonazione alla loro vita, che era caratterizzata dal carisma cristiano: sono esperienze di grande eroismo, dove alla grande qualità e professionalità del militare si aggiunge quell’impegno di fede, che produce un’autentica testimonianza cristiana.







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