2012-11-12 14:55:06

Israele risponde ai colpi di mortaio partiti dal territorio siriano. Le monarchie del Golfo riconoscono i ribelli


Il governo turco ha protestato dopo i bombardamenti di ieri da parte dell' aviazione di Damasco contro postazioni ribelli nella cittadina di confine di Ras al Ayn che hanno provocato danni e feriti nel vicino comune turco. Il ministro degli esteri Davutoglu ha aggiunto che finora gli aerei siriani “non sono entrati nello spazio turco, se lo avessero fatto Ankara avrebbe risposto”. E tank israeliani hanno colpito l'artiglieria mobile siriana in risposta a un colpo di mortaio partito dal territorio siriano e caduto nel pomeriggio in Israele sulle Alture del Golan. Le sei monarchie arabe del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) hanno deciso di riconoscere la nuova coalizione dell'opposizione uscita dall'incontro di Doha come ''rappresentante legittima del popolo siriano fratello''. Lo ha detto in un comunicato il segretario generale del Ccg, Abdullatif al Zayani. Della svolta avvenuta nel fronte degli insorti, Giancarlo La Vella ha parlato con Stefano Polli, responsabile esteri dell’Agenzia Ansa:RealAudioMP3

R. – Sicuramente, è una svolta importante perché uno dei problemi che l’opposizione ha avuto in questi mesi – sia del punto di vista politica, con un riflesso poi anche sul terreno, sia dal punto di vista militare – è proprio la frammentazione: il fatto di essere molto divisa, molto eterogenea. Quindi, la decisione presa a Doha è importante, perché adesso l’opposizione ha una sua unità, ha un suo leader riconosciuto e ha un programma politico e militare unificato. Sicuramente, anche il riconoscimento venuto dagli Stati Uniti è fondamentale, perché è chiaramente un segnale forte che viene dato al regime siriano. Comunque, adesso è ancora presto: bisognerà vedere e capire se concretamente questa unità di intenti dimostrata a Doha avrà poi dei riflessi veri sul terreno. Per cui, questa presa di posizione degli Stati Uniti è fondamentale, perché lancia un messaggio ad Assad: è chiaro che questo è il primo passo, ma a questo punto gli Stati Uniti sono scesi in campo.

D. – Rischia di aprirsi comunque un altro fronte decisivo anche con Israele: secondo te, lo Stato ebraico potrebbe essere coinvolto nella crisi siriana?

R. – Purtroppo sì. Un altro dei problemi che vi sono stati, dovuti proprio alla lentezza della reazione internazionale, è il rischio dell’effetto contagio. Questo in parte è già successo, per esempio, con il Libano, ma anche con la Turchia c’è una situazione molto delicata. Adesso è successo anche con Israele, ma Israele non è la Turchia e non è neanche il Libano. Israele è pronta a rispondere alle provocazioni che vengono dalla Siria e questo va a complicare un teatro già difficile, perché Israele – in questo momento – ha tre fronti aperti e non solo con la Siria, ma al sud con Gaza e inoltre c’è sempre l’ombra del nucleare iraniano con la possibilità di un attacco israeliano, più di una volta ventilato. Insomma, la situazione è molto complicata e ogni giorno che passa il puzzle diventa più difficile.

D. – Da tutto questo rimane fuori l’ipotesi di un intervento umanitario, a fronte di una emergenza che sta diventando ogni giorno sempre più drammatica…

R. – Questa è la vera emergenza. La popolazione siriana continua a scappare da un Paese, dove c’è una guerra civile vera e propria: ci sono centinaia di morti tutti i giorni, la gente fugge e l’emergenza umanitaria è gravissima. In questa situazione, è difficile agire, perché è difficile arrivare in Siria ad aiutare questi profughi e anche sui confini dei Paesi vicini non si sta facendo abbastanza.

Ultimo aggiornamento: 13 novembre







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