Sud Sudan: cresce la preoccupazione per un’epidemia di epatite tra i rifugiati
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha lanciato l’allarme epatite
in Sud Sudan. Il virus dell’epatite E, infatti, potrebbe diffondersi nel Paese con
l’aumentare del numero di rifugiati. Per le prossime settimane - non appena le strade
torneranno percorribili dopo la stagione delle piogge ci si aspetta che migliaia di
persone attraversino il confine, fuggendo dall'instabilità e dal peggioramento delle
condizioni umanitarie nei due stati di South Kordofan e Blue Nile. L'Acnur e agenzie
partner stanno già affrontando un’epidemia di epatite E negli Stati sud-sudanesi di
Upper Nile e Unity, due regioni nelle quali la patologia è endemica e in cui vivono
175mila rifugiati sudanesi. Finora nei campi per rifugiati sono stati riscontrati
1.050 casi di epatite E, causata da un virus che si contrae e si diffonde attraverso
cibo e acqua contaminati. La malattia danneggia il fegato e può portare alla morte.
Sono 26 finora le vittime tra i rifugiati nei campi dell'Upper Nile, 10 delle quali
negli ultimi due mesi. In un ambiente densamente popolato come quello di un campo
per rifugiati, il rischio di infezione è particolarmente alto e cresce ulteriormente
nella stagione delle piogge, a causa degli allagamenti e delle pessime condizioni
igienico-sanitarie. Le donne e i bambini più piccoli sono i soggetti più esposti.
Per garantire la sopravvivenza dei pazienti, diventa fondamentale una diagnosi precoce:
a tale scopo l'Acnur sta collaborando con i Centri Usa per il controllo delle malattie,
che hanno inviato nell'area 6 operatori col compito di testare le acque e campioni
di sangue, oltre che di effettuare sensibilizzazione porta-a-porta sulle pratiche
igieniche da seguire. Migliorare la fornitura di acqua pulita nei campi, rinnovare
i servizi igienici e allestire più postazioni per il lavaggio delle mani con sapone
sono altre attività in cui l'Agenzia è impegnata. Finora, grazie a queste azioni,
è stato possibile rallentare la diffusione della malattia ma raggiungere gli standard
umanitari minimi - come ad esempio 15-20 litri di acqua potabile per rifugiato al
giorno, un servizio igienico ogni 20 rifugiati - resta un'operazione difficile, anche
a causa della scarsità di fondi, contro la quale l’Acnur ha lanciato un appello. (D.M.)