Radici cristiane: l’eredità comune tra Santa Sede e Norvegia
Ai confini della cristianità: alla ricerca dell’eredità comune fra Norvegia e Santa
Sede. È il tema della giornata di studio organizzata ieri a Roma dal Pontificio Consiglio
della Cultura e dall’Istituto di Norvegia. Archeologia, architettura, mistica nordica
e pellegrinaggi sono solo alcuni dei campi messi a fuoco dagli esperti del Medioevo
per illustrare i collegamenti tra la terra di sant’Olaf e la Sede di Pietro. Tra i
relatori, il cardinaleGianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio
della Cultura, mons. Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio segreto Vaticano, e l’ambasciatore
di Norvegia presso la Santa Sede, Rolf Trolle Andersen. Marco Guerra ne ha
seguito i lavori intervistando mons. Pasquale Iacobone, del Pontificio Consiglio
della Cultura, intervenuto sul tema “L’Europa dei pellegrini”:
R. – C’è un
filo comune molto antico che cerchiamo di rispolverare e valorizzare in questa giornata
di studio. Un filo che lega la storia cristiana di Norvegia - che ha in Sant’Olaf
il punto culminante - con la Sede di Pietro, con la Chiesa cattolica. Questo legame
ha creato tutta una serie di contatti, non ultimi i tanti pellegrinaggi che si svolgevano
fra il mondo del nord Europa e Roma e poi anche Gerusalemme e Compostela. Credo che
un riallacciare rapporti comuni oggi a livello culturale, artistico, più che religioso,
possa essere una premessa a un ritrovare rapporti più intensi anche sul piano religioso,
per quanto riguarda il dialogo fra le Chiese.
D. – Quindi, ripartire dalle
basi culturali comuni per poter riannunciare Cristo in società così secolarizzate…
R.
– Credo sia importante ripensare le radici cristiane non solo della Norvegia, ma di
tutta l’Europa per ritrovare quella piattaforma comune, quella base indispensabile
di dialogo da cui ripartire per un annuncio che va modulato sui linguaggi di oggi,
sui tempi di oggi, sulle caratteristiche della società attuale della Norvegia, ma
che non può venir meno, che deve ritrovare il coraggio di quegli evangelizzatori dell’antichità
cristiana che hanno toccato anche le terre più a nord del nostro continente. Ultimamente,
il cardinale Ravasi è stato a Stoccolma, nell’Accademia che conferisce i Nobel: è
stato il primo cardinale a proporre un messaggio cristiano, evangelico, in quella
sede. Credo ci sia molta attenzione, molta curiosità anche da parte della società
norvegese e della Scandinavia, a riallacciare un dialogo che ritrovi spessore, che
ritrovi profondità anche sui temi religiosi.
D. – Il messaggio ecumenico può
essere una delle basi per riscoprire le radici comuni in un’Europa che sta cercando
una direzione in un momento di crisi?
R. – Credo assolutamente di sì. L’Europa
politica che si cerca di rifondare non può andare avanti, diceva Giovanni Paolo II,
non può avere un’anima se non ritrova quello spirito profondo che era stata l’anima
cristiana, quell’anima diffusa capillarmente sotto l’impulso di Gregorio Magno, per
esempio dai benedettini e poi attraverso la riforma carolingia. Oggi, dobbiamo ritrovare
quello spirito missionario che va modulato come spirito di dialogo, di collaborazione,
di confronto, senza venir meno alla grandezza della tradizione e al peso della tradizione.