Il rev. Justin Welby nuovo primate anglicano: l'augurio del cardinale Koch
La Chiesa d’Inghilterra e l’intera Comunione anglicana hanno un nuovo Primate. Si
tratta dell’attuale vescovo di Durham, nel nord d’Inghilterra, reverendo Justin Welby,
56 anni, che diverrà il 105° arcivescovo di Canterbury, succedendo a Rowan Williams,
che ricopriva la carica dal 2003. Le prime congratulazioni al reverendo Welby sono
giunte proprio da quest’ultimo. La nomina è stata accolta favorevolmente anche dal
cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani.
Il porporato ha detto che parteciperà l’anno prossimo in Inghilterra alla cerimonia
di intronizzazione e che, al più presto, lo inviterà in Vaticano per un incontro con
Benedetto XVI. Per conoscere meglio la figura di Justin Welby, Philippa Hitchen
ha intervistato il direttore del Centre for Catholic Studies, prof. Paul Murray,
dell’Università di Durham:
R. – R. – A
number of people asked me the question: “Who’s Justin Welby?”… Molti mi hanno chiesto:
“Chi è, Welby? Non ne abbiamo sentito parlare molto, non sappiamo neanche da dove
venga…”. Ci sono state persone che mi hanno fatto questa domanda circa un anno, un
anno e mezzo fa, qui a Durham. Posso dire che, se l’esperienza di Durham avrà modo
di tradursi a Canterbury, subito dopo il conferimento dell’incarico i dubbi si trasformeranno
in certezze e si coglierà l’unicità della persona che è stata loro donata.
D.
– In che modo ha accolto la nomina?
R. – Well, my reaction – I guess- is twofold.
One is admiration that it made … La mia reazione è duplice. Da un lato, l’ammirazione
per aver fatto una scelta così intelligente, creativa e coraggiosa, non affatto di
ripiego. So che qualcuno aveva predetto il suo nome… Ma c’è anche un inevitabile senso
di perdita per la diocesi di Durham e più in generale per le chiese e le persone qui,
nel Nordest. Infatti, anche se solo per un breve periodo, il vescovo Justin Welby
ha lasciato una traccia profonda ed è stato palesemente un grande operatore di cambiamenti.
E ora potrà fare cose molto buone per la Chiesa nazionale d’Inghilterra, ma anche
più semplicemente per le persone di questo Paese.
D. – Come lei dice, il vescovo
Welby è stato considerato un personaggio importante a Durham. Che tipo di leader
è stato in questo anno?
R. – I would characterize him… Io lo caratterizzerei:
è contraddistinto da una combinazione poco comune. È molto intelligente, ha una grande
prontezza di spirito, ha una mente strategica con una grandissima esperienza nel trattare
problemi organizzativi complessi, tensioni, sfide e le possibilità che le stesse offrono
che gli vengono dalla sua attività passata, nel ramo dell’industria petroliera. E’
ovvio che egli trasferisca l’acume organizzativo con grande precisione nel contesto
ecclesiale. E’ sicuramente un elemento di cambiamento, una persona con una fede cristiana
profondamente impegnata, che gli viene da una tradizione fondata sul Vangelo, pur
con un profondo e sincero impegno ecumenico. Per quanto ne so, il suo direttore spirituale
è un benedettino cattolico, che è anche il suo confidente; ha da lungo tempo rapporti
con un movimento cattolico per la dottrina sociale di lingua francese… E’, quindi,
una figura un po’ inusuale, ma con un alto profilo pastorale, coinvolgente, impegnato
a cercare la via per la quale il Vangelo e la pratica nella Chiesa possano diventare
distintivi, affascinanti ed arricchenti per il nostro Paese e possano dare un contributo
concreto: non basandosi solamente sulle strutture e sui luoghi della Storia, ma con
la forza e la tensione creativi che il Vangelo e il messaggio cristiani hanno ancora
da proporre.
D. – Lei ha parlato della dimensione ecumenica che forse, per
il vescovo Welby, non rappresenta una priorità per la Chiesa d’Inghilterra, oggi.
Ma le sue speranze su questo fronte quali sono? Il suo Centro è ovviamente molto impegnato
nell’attività ecumenica…
R. – I think that one of the interesting… Credo
che uno degli aspetti interessanti – e il vescovo Justin l’ha colto molto presto,
nel suo ministero a Durham, e vi si è dedicato molto – è che tutti si chiedono quali
siano i doni particolari di ciascuna tradizione e come le diverse tradizioni possono
imparare e ricevere l’una dall’altra, in modo che tutti possiamo più liberamente,
pienamente, con maggiore grazia, rendere la nostra specifica testimonianza davanti
a un altare comune. Questo, credo, sarà il contributo che egli porterà al dibattito
ecumenico. Lui ama vedere le cose trasformarsi in azione: non rimanere semplicemente
sul tavolo della discussione o chiuse nei libri, ma osservare quali siano poi le implicazioni
pratiche. Ora, ciascuna delle Chiese si trova di fronte a sfide comuni: il numero
dei ministri che scende, il numero di laici impegnati in diminuzione, risorse ridotte…
Come si può trasformare tutto ciò nella domanda di senso, in questo contesto? Noi
siamo comunque sempre chiamati a predicare e a vivere il Vangelo, però ci chiediamo
quali possano essere le forme particolari della nostra testimonianza, quale testimonianza
siamo chiamati a rendere in questo nostro contesto.