Ancora una volta, le speranze di una soluzione al conflitto nell’Ogaden alimentate
dall’annuncio di un nuovo negoziato di pace si sono sciolte come neve al sole. Il
fallimento degli incontri, mediati dal Kenya tra rappresentanti del governo e esponenti
dell’Onlf (Fronte nazionale per la liberazione dell’Ogaden), ha allontanato le possibilità
di una pacificazione della Regione cinque, a maggioranza somala, nel sud-est del paese.
“La decisione di avviare nuovi colloqui era stata avanzata dall’ex-primo ministro
Meles Zenawi. Era lui che aveva chiesto al Kenya di mediare, nella speranza che un
terzo elemento potesse scongiurare il rischio dell’impasse in cui si sono sempre arenati
i precedenti tentativi di dialogo – racconta all'agenzia Misna Ahmed Gurhan, esponente
dell’ufficio politico dell’Onlf – Noi, dal canto nostro, avevamo chiesto che gli incontri
si svolgessero in un luogo neutro e che non fossero sottoposti a precondizioni”. Fondato
nei primi anni ’80, mentre il Paese era ancora teatro della guerra civile, l’Onlf
rivendica a nome del popolo ogadeni, il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza
da Addis Abeba tramite referendum. In base al calendario stabilito negli incontri
preliminari, quest’ultima tornata di colloqui avrebbe dovuto cominciare il 30 agosto
ma il 20, appena dieci giorni prima, il governo di Addis Abeba ha confermato la notizia
– circolata come un’indiscrezione già nei giorni precedenti – della morte di Zenawi.
“Il mediatore keniano ci ha chiesto di rinviare l’appuntamento – ricorda Gurhan –
per dare svolgimento alle esequie a livello nazionale. Ma all’incontro successivo,
il 6 e 7 settembre, la delegazione governativa ci ha chiesto di riconoscere la Costituzione
etiopica del 1994 come condizione preliminare al dialogo. I presupposti erano radicalmente
mutati rispetto agli impegni presi”. Una versione, quella riferita da Gurhan, parzialmente
smentita da Tesfu Fissaha, consigliere politico dell’Ambasciata etiopica in Italia
per cui “il riconoscimento della Costituzione non costituisce di per sé una precondizione
ma un elemento che da sempre contraddistingue l’approccio del governo sulla questione”.
Di sicuro, mentre l’iniziativa per il negoziato sembra ferma ad un binario morto,
restano gli allarmi sollevati dalle agenzie umanitarie che dal 2007 non hanno più
accesso all’Ogaden, in conseguenza del blocco imposto dalle autorità etiopi. A intervalli
costanti, elementi della società civile denunciano abusi e torture dei gruppi paramilitari
nei villaggi della regione, ai danni di circa 7 milioni di abitanti, vittime di un
conflitto ‘fantasma’ nel cuore del Corno d’Africa. (R.P.)