Malaysia: dai leader religiosi "no" alla religione per fini politici
“La nostra posizione è chiara: noi intendiamo mantenere lo status quo e sosteniamo
la Costituzione vigente, che garantisce le minoranze e non fa della Malaysia uno stato
islamico. Siamo contrari a qualsiasi modifica che introduca imposizioni della legge
islamica come le ordinanze hudud”: con tali parole, pronunciate in un colloquio con
l’agenzia Fides, il rev. Thomas Philips, Pastore protestante e presidente del “Malaysian
Consultative Council of Buddhism, Christianity, Hinduism, Sikhism and Taoism” esprime
la posizione condivisa dai leader religiosi non musulmani in Malaysia. Alcuni gruppi
e leader islamici, alcuni parlamentari ed anche esponenti dell’Umno, il partito di
governo, hanno infatti iniziato a chiedere, in consessi pubblici e attraverso i mass-media,
l’introduzione delle ordinanze hudud nella legislazione malaysiana. Gli “hudud” sono
le punizioni imposte dalla legge islamica, come il taglio della mano o la lapidazione
per le donne. Secondo tali ordinanze, la legge coranica va imposta anche ai non musulmani:
questo, secondo i leader religiosi, sarebbe “incostituzionale”. La proposta ha sollevato
le reazioni negative di tutte le minoranze religiose non islamiche. Il leader indù
Mogan Shan ha rimarcato che “i non-musulmani sono già penalizzati dall’attuale legislazione,
soprattutto quando si tratta di matrimoni misti”, dato che il coniuge non musulmano
si deve convertire all'islam. I leader religiosi osservano che in Malaysia esiste
già un “duplice sistema” legale: per dirimere controversie giuridiche vi sono, infatti,
le Corti civili ma anche le Corti islamiche, che applicano la sharia, riservate ai
musulmani. Questo duplice binario crea disguidi e problemi, in quanto attualmente
esistono già circa mille casi di “conflitto di giurisdizione”. Il rev. Philips spiega
a Fides: “Credo che proporre all’opinione pubblica e nel dibattito politico l’introduzione
degli hudud sia una mossa con intenti elettoralistici: date le imminenti elezioni,
alcuni leader vogliono guadagnare consensi, toccando temi religiosi. Chiediamo a tutti
di non strumentalizzare la religione per fini politici. La campagna elettorale va
fondata su come affrontare i problemi reali della gente e non sfruttando argomenti
relativi alla religione”. (R.P.)