"Alla fine meritata
di ogni duro giorno, Signore non vuoi dirci cosa significhi tutto questo? E che tu
possa trovare una qualche ragione per credere?". Così si esprime il musicista e cantautore
statunitense, Bruce Springsteen, in uno degli album più addolorati sulla condizione
umana e sociale del suo Paese.
Le sue parole superano i confini geografici.
L’interrogativo costituisce anche qui, in Europa, uno dei nodi di fondo della cultura
contemporanea, acuita dalla crisi economica e dall’incomprensione che molti provano
tra ciò che vivono e la possibilità che ci sia un senso oltre. E’ chiaro, per i credenti,
che si può parlare di crisi di fede e di esclusione di Dio dall’orizzonte della vita,
ma c’è anche un altro aspetto che viene prima. Esso riguarda la possibilità che il
senso stesso venga trasmesso, che la fede possa essere condivisa. Troppo forte è la
sensazione di vuoto, di isolamento che molte persone sperimentano, di perdita di identità.
Su quale base condivisa di pensiero, di sentimenti, di fiducia reciproca,
di aspettative, è possibile trasmettere una qualche ragione per credere?
Per
poter trasmettere qualcosa siamo chiamati ad una nuova opera di inculturazione del
pensiero e della fede, perché le parole e gli orizzonti di significato dicano la carne
e il sangue degli uomini e delle donne di oggi, di tutti. Occorre usare intelligenza
e cuore, come non si stanca di ripetere Benedetto XVI, in modo da riprendere una narrazione
comune e, per quanti ne hanno il dono, aprirla a Dio.
In questa opera sono
necessarie persone dotate di un’intelligenza che sappia fare memoria. Perché, ripete
profeticamente Benedetto XVI, una ragione astratta, anti-storica nel senso che creda
di poter dominare tutto, emancipandosi da tutte le tradizioni e i valori culturali,
rende la vita invivibile, toglie il terreno su cui poggiare i piedi, toglie ogni calore
ai focolari della convivenza umana.
Questo lavoro di inculturazione, di
trasmissione di valori, di dialogo tra culture e fedi chiama in gioco il cuore delle
persone, cioè la capacità di vivere la dimensione relazionale e comunitaria.
E’
infatti il cuore che, libero, può farci riconoscere l’altro come un fratello. Solo
questo ci permetterà di colmare le fragilità che viviamo, di sanare le ingiustizie
e le solitudini che affliggono tanta parte dell’umanità, a partire dalle nostre città.
E potremo così trovare le ragioni per credere al termine di una dura giornata.