Violenze in Siria. Condanna dell'Onu per il video con le esecuzioni di alcuni soldati
In Siria sono oltre 130 i morti di ieri, secondo fonti locali. Intanto sui ribelli
cala l’ombra dei crimini di guerra, un video postato su Internet, infatti, mostra
l'esecuzione sommaria di 10 militari del regime. A due giorni dalla riunione a Doha
degli oppositori di Assad, il Consiglio nazionale siriano ha accusato gli Stati Uniti
di voler "indebolire la rivoluzione" suscitando "divisioni" al suo interno. Marina
Calculli:
I ribelli
hanno conquistato Saraqueb, un incrocio strategico che collega Damasco, Aleppo e Lattakia
ma anche unico accesso delle truppe al nord del paese. Il regime, dal suo canto, continua
a lanciare raid: le località nel mirino dell’aviazione sono state ier la periferia
nord-est di Damasco, Deir al Zor, Idlib, Maaret el Noumane. Due esplosioni, invece,
hanno colpito ieri un quartiere a sud Damasco provocando solo feriti e danni materiali.
Intanto l’ONU condanna i ribelli per le esecuzioni sommarie di alcuni soldati testimoniate
da un video in circolazione su youtube. Nel frattempo, però, come tutti i venerdì,
le manifestazioni pacifiche si sono svolte in tutto il paese, chiedendo la fine di
Assad. Parole dure sono state riservate anche alla Clinton: “il nostro estremismo,
se esiste, è frutto delle vostre menzogne” hanno gridato i manifestanti. Ma il segretario
di Stato americano è stato anche duramente criticato dal Consiglio Nazionale siriano,
organo di opposizione politica in esilio. L’accusa è quella di voler frammentare un’opposizione
assai divisa. Tra due giorni a Doha le diverse anime dell’opposizione si incontrranno:
l’obiettivo è quello di raggiungere una difficile unità.
Intanto, il Pam,
Programma alimentare mondiale, ha reso noto che è iniziata la distribuzione degli
aiuti internazionali che hanno potuto raggiungere la città di Homs, mentre a livello
diplomatico si lavora sulla proposta di una tregua regione per regione avanzata dalla
Cina dopo la visita a Pechino del mediatore di Onu e Lega araba, Brahimi. Benedetta
Capelli ha sentito in proposito Massimo De Leonardis, docente di Relazioni
Internazionali all’Università Cattolica di Milano:
R. - Tutte
le proposte concrete possono essere utili anche se naturalmente, poi, questa divisione
delle tregue regione per regione si presta a infinite discussioni. Il problema, in
questi casi, è sempre di chi può avere la forza e il potere di far rispettare questa
tregua. Come sempre, abbiamo di fronte il problema di un eventuale intervento della
comunità internazionale, avallato dall’Onu. Una soluzione potrebbe essere quella di
un intervento della Lega Araba, ma deve essere evidentemente accettata dalle due parti.
D.
- Eppure questa ipotesi esclude un intervento esterno, che è un punto chiave anche
dell’opposizione che sia Cina che Russia hanno sempre mostrato in Consiglio di sicurezza
dell’Onu. In questo frangente la posizione di Mosca sembra apparentemente defilata…
R.
- Per quanto riguarda il rapporto con la Siria, nel caso della Russia, ci sono interessi
specifici che sono emersi in tutti questi mesi: le questioni delle armi, le questioni
degli aerei, la questioni degli armamenti. La Russia ha un rapporto tradizionale con
la Siria che è molto più intenso di quello della Cina; avendo un rapporto diretto
con il regime di Assad è molto più riluttante a fare proposte che possano prefigurare
un intervento nella questione. Quando si parla di un intervento nella situazione siriana,
anche se la proposta appare equilibrata, si parla sostanzialmente di un intervento
che viene a danneggiare il governo di Assad. Il governo di Assad, tutto sommato, preferirebbe
essere lasciato per conto proprio, nella speranza di riuscire a schiacciare manu
militari l’opposizione.
D. – Quello che sta emergendo è che sia i ribelli
sia l’esercito di Assad si stanno macchiando di crimini contro l’umanità. Solo un
intervento esterno potrebbe porre fine a questa escalation?
R. – Il fatto che
in una guerra civile ci siano crimini da entrambe le parti, non stupisce. Tutti sanno
che la guerra civile è una sorta di guerra totale dove purtroppo non esistono regole.
Questo, in una certa misura, è avvenuto anche in teatri di altre civiltà - penso alla
guerra civile spagnola - e a maggior ragione avviene in un teatro come quello mediorientale.
A qualunque soluzione si arrivi, bisogna garantire che questo non comporti vendette
successive. Ancora una volta si pone il problema di un’autorità esterna che possa
farsi garante non solo di una soluzione politica, ma anche del fatto che successivamente
non ci sia una politica di vendette.
D. – Come vede un’eventuale uscita di
Assad? E’ una precondizione necessaria per porre fine a questa guerra?
R. –
Io temo che si sia superato o che si stia superando il punto di non ritorno, quel
punto prima del quale si poteva pensare a soluzioni tipo esilio in qualche altro Paese.
Non vedo al momento alcuna prospettiva. Penso che il destino di Assad sia segnato,
ma credo che ci vorrà ancora molto tempo perché ci sarà certamente un intervento esterno
a sostegno dei gruppi di opposizione; sarà ovviamente un intervento esterno cauto,
non aperto, come nel caso della Libia e che quindi richiederà più tempo per conseguire
la vittoria. Naturalmente, da questo punto di vista, l’incognita è il risultato delle
elezioni americane e aspettare e veder quale tipo di politica vorrà fare il nuovo
presidente.