L’Uganda minaccia di interrompere le sue missioni di pace in Africa
Il governo ugandese ha annunciato il ritiro delle proprie truppe dalla Somalia e dalle
altre missioni di pace in Africa per “proteggere i propri confini occidentali da una
probabile invasione dell'esercito della Repubblica Democratica del Congo”. Sono parole
del premier, Amama Mbabazi, nel corso dell'ultima seduta parlamentare. E’ una presa
di posizione che nasce in polemica alle accuse contenute in un rapporto dell'Onu su
un probabile sostegno del governo di Kampala in Congo ai ribelli del gruppo M23. Mbabazi
ha detto che le potenze occidentali non riconoscono il “contributo dell'Uganda per
il mantenimento della pace nella regione”. Del ruolo dell’Uganda nella regione dell’Africa
orientale Fausta Speranza ha parlato con Paolo Quercia, del Centro militare
Studi strategici:
R. – L’Uganda
si è sempre più indirizzata ad esercitare un ruolo di potenza regionale, sia per lo
sviluppo che è riuscita a conseguire negli ultimi anni - un discreto sviluppo interno
che potrebbe essere ulteriormente rafforzato dalle scoperte petrolifere che potrebbero
fare del Paese un esportatore di questa risorsa – e anche per le capacità militari
che ha cercato di esportare in alcuni teatri limitrofi, in particolare quello della
Somalia. In Somalia, l’Uganda rappresenta il principale contributore della missione
dell’Unione africana Amison, con oltre 5 mila soldati. Ovviamente, questo ruolo
crescente dell’Uganda è un ruolo in parte di proxy degli Stati Uniti d’America,
come lo definisce qualcuno. Quindi un Paese con cui la principale potenza mondiale
cerca anche di costruire degli equilibri regionali, anche nel contesto della sicurezza.
E questo ruolo si è rafforzato, soprattutto negli anni passati, in concomitanza con
la cosiddetta guerra al terrorismo, inaugurata dagli Stati Uniti d’America
dopo l’11 settembre. E’ un percorso piuttosto lungo che ha portato l’Uganda ad esercitare
un ruolo nell’architettura della sicurezza regionale.
D. – Secondo il rapporto
dell’Onu, ci sarebbero implicazioni delle milizie dell’Uganda in Congo con i ribelli
del gruppo “M23”. Perché questo tipo di coinvolgimento, secondo lei?
R. – Intanto,
diciamo che le Nazioni Unite molto spesso producono rapporti sulla regione in cui
i Paesi limitrofi vengono accusati di ingerenze militari in territori vicini. Questo
è un fatto molto frequente, in questa parte dell’Africa. Nel caso specifico, le accuse
riguardano, più che l’Uganda direttamente, il Rwanda di avere effettivamente un ruolo
nei conflitti interni del Congo. Attraverso il Rwanda, poi, l’Uganda contribuirebbe
in maniera un po’ più defilata. Potrebbe essere spiegato in funzione dei diversi scenari
di conflitto che contraddistinguono l’Uganda internamente. Ad esempio, ci sono forze
anti-governative, in particolare questa cosiddetta Adf, l’Allied Democratic Force,
che è un gruppo di qualche centinaio di ribelli islamisti che in Uganda occidentale
lottano contro il governo e che in parte hanno base in Congo. Quindi, il Congo potrebbe
venire a configurarsi come uno scenario in cui forze anti-regime ugandesi trovano
basi logistiche e sostegno e magari aiuto da altri Paesi della regione. L’Uganda,
ad esempio, accusa il Sudan di avere armato questi gruppi anti-governativi. Quindi
– come accade in tanti Paesi – l’ingerenza nel Paese vicino serve a volte anche a
contrastare forme di guerriglia asimmetrica che trovano basi o sostegni in questo
Paese.
D. – L’Uganda, in seguito al rapporto dell’Onu, ha annunciato il ritiro
delle proprie truppe dalle missioni di pace in Africa, in particolare dalla Somalia.
Che cosa significherebbe il ritiro delle forze dell’Uganda dalla Somalia?
R.
– Intanto, credo che questo ritiro non avverrà. E’ un modo per l’Uganda di alzare
un po’ la voce su questa questione, ribadendo il contributo che ha dato e che sta
dando alla pacificazione della Somalia o comunque all’eliminazione degli Shabaab.
Ovviamente, questo ritiro non può avvenire perché l’Uganda rappresenta il principale
contributore soprattutto della missione dell’Unione africana in Somalia, e soprattutto
in un momento come questo dove, dopo la caduta di Chisimaio e la ricostituzione di
un governo a Mogadiscio, la Somalia sta facendo progressi da un punto di vista, quantomeno,
di stabilità interna. Quindi in qualche modo, questa protesta verrà gestita. E’ un
segnale che il governo ugandese non accetta critiche sulle questioni di sicurezza
interna o sulle sue interferenze negli affari di sicurezza dei Paesi vicini, e chiede
agli sponsor internazionali del Paese una cosiddetta protezione nei confronti di queste
accuse.