2012-11-02 15:05:58

Il commercio delle armi non conosce crisi: spesa militare oltre 1700 mld. di dollari


Nel mondo, nonostante la crisi, la spesa militare ha superato i 1.700 miliardi di dollari. La denuncia arriva da un libro-inchiesta dal titolo “Armi, un affare di Stato”, edito da Chiare Lettere, che svela come la produzione e il commercio di armamenti siano dominati quasi totalmente dalle scelte politiche dei governi. Il libro mette per la prima volta in luce anche il sistema corrotto delle commesse e svela i nomi della potente lobby che domina il mercato. Federico Piana ha intervistato uno degli autori, Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo:RealAudioMP3

R. - Noi siamo abituati a pensare che quando si comprano o si vendono armi, ci siano trafficanti e giochi loschi. Invece dobbiamo cambiare paradigma, ed è quello che abbiamo cercato di scrivere nel libro. Le armi vengono comprate, ma vengono anche prodotte dagli Stati, perché le industrie sono indirettamente o direttamente di partecipazione pubblica: sono loro i veri protagonisti di questo commercio; sono loro i protagonisti dei soldi che vengono - a parer nostro - buttati complessivamente nelle spese militari. L’anno scorso abbiamo superato la quota di 1.700 miliardi di dollari - più di due volte il budget delle Nazioni Unite - che gli Stati mettono nelle spese militari e di questi oltre 400 miliardi sono dedicati a comprare armamenti.

D. - Quali sono gli Stati che spendono di più?

R. - Dobbiamo distinguere tra chi spende molto, e qui ci sono ovviamente gli Stati Uniti in testa, ma anche sempre di più le cosiddette economie emergenti - quindi Cina, Brasile, India - senza dimenticare la Russia e i player tradizionali e quindi Gran Bretagna, Francia, Germania e anche Italia a spendere per le armi. Poi c’è una differenziazione da fare tra chi produce - e chi produce sono più che altro i Paesi occidentali e quindi ancora una volta Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, oltre alla Russia - e chi acquista, che sono sempre di più i luoghi caldi del nostro globo e quindi in Paesi del Medio Oriente - e non ci si deve quindi stupire se poi, quando succede qualche cosa, si verifica qualche problematica o scoppia qualche guerra civile, siano proprio le nostre armi che sparano - o in Paesi anche come l’India e il Pakistan. L’anno scorso, l’India è diventata il maggiore acquirente mondiale di armamenti.

D. - L’Italia, in che posizione è?

R. - Diciamo che noi siamo a ridosso delle prime 10 posizioni come spenditori, perché appunto le nuove economie hanno preso un po’ il sopravvento. Sicuramente, però, l’Italia è tra i principali produttori, in particolare in alcuni segmenti: penso agli elicotteri, penso ad alcuni tipi di aerei. E lì la nostra industria - tutto sommato - di Stato, perché il 30 per cento è posseduto dal Ministero del Tesoro, è tra le prime dieci industrie produttrici mondiali. L’altro aspetto fondamentale, però, è che l’Italia è il secondo esportatore mondiale di armi leggere, le cosiddette armi piccole, che però sono le vere armi di distruzione di massa, perché fanno circa 500 mila morti l’anno e questo vuol dire un morto al minuto. E’ incredibile, come ancora oggi e nonostante la Conferenza di luglio per un trattato internazionale sugli armamenti - che è in realtà fallita - non ci sia ancora una regola internazionale sulla compravendita di armi. Dispiace anche che l’Italia, proprio a livello internazionale, durante questa conferenza, abbia cercato di tener fuori le armi leggere - proprio perché per noi sono molto importanti e rappresentano un business molto importante - da una regolamentazione. Oggi come oggi sappiamo il nome della gallina che ha fatto l’uovo che mangiamo a tavola o sappiamo da dove è stata colta la banana che prendiamo per frutta, ma non c’è una regola che ci permetta di sapere dove sono state prodotte, chi le ha vendute e dove sono arrivate le armi, che invece fanno un po’ più male delle banane….

D. - C’è un caso in Europa, che voi citate anche in questo libro, che è un caso da manuale: la Grecia, sull’orlo del default, spende - dite voi - di più in Europa per le armi. Come mai?

R. - Tradizionalmente la Grecia è stata un grande spenditore dal punto di vista militare per le mai sopite e anche molto costruite - e noi scriviamo anche questo nel libro, perché spesso il nemico è costruito - minacce esterne, che anche se non è vera, costringe ad armarsi fino a denti. La Grecia - che ha speso negli anni anche fino al 4 per cento del proprio Pil per gli armamenti - è stata costretta, in questi ultimi due anni, a grosse cure dimagranti della spesa pubblica, con problemi sociali non banali. D’altro canto, invece, la Francia e la Germania, protagoniste nel chiedere questi tagli, hanno preteso che gli acquisti militari che la Grecia aveva già ordinato nei confronti delle industrie armiere francesi e tedesche, non fossero cancellati e che quindi i sottomarini tedeschi - per esempio - si dovessero continuare a comprare. Questa ci sembra veramente una visuale molto strabica: cercare di controllare quella che è la spesa sociale, ma non cancellare la spesa militare. Un po’ come succede anche in Italia, per fare il solito esempio, che noi stiamo portando da tempo, del cacciabombardiere F35. Ebbene la paventata, la prevista riduzione, anzi l’aumento dell’Iva per le cooperative sociali - che erogano servizi sanitari e scolastici per le persone con disabilità, e che forse verrà portata dal 4 al 10 per cento - il gettito previsto dal governo è pari ad un cacciabombardiere e mezzo. Noi crediamo che sia molto più sensato per difendere la vita degli italiani e in particolare delle persone svantaggiate, che ci siano magari dei cacciabombardieri in meno o meglio ancora nessun cacciabombardiere, e un vantaggio maggiore, anche dal punto di vista fiscale, a chi eroga servizi - come in questo caso - sanitari o scolastici.








All the contents on this site are copyrighted ©.