Sinodo. Mons. Forte: la Chiesa si presenti al mondo come una Chiesa di gioia e di
speranza
Il Sinodo sulla nuova evangelizzazione ha incoraggiato a guardare con fiducia e benevolenza
al mondo che Dio ha creato e ama: è quanto emerso dal Messaggio finale dell’Assemblea
sinodale. Per un bilancio di questo importante evento ecclesiale Fabio Colagrande
ha sentito mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto:
R. - Io metterei
in luce tre aspetti che mi sembrano molto significativi: il primo è un fortissimo
senso di comunione dei vescovi intorno al Santo Padre e questo lo abbiamo sentito
tutti; ci si sente Chiesa, le sfide del villaggio globale non ci disgregano anzi ci
stimolano ad essere uniti sempre di più intorno al vescovo di Roma per rispondere
insieme alla globalizzazione. In secondo luogo, un clima anche di gioia e di fede,
di fiducia, nell’azione dello Spirito che ci parla anche attraverso i segni dei tempi,
e conseguentemente, terzo aspetto, un atteggiamento di simpatia e di amicizia verso
il mondo. In questo mi sembra di risentire lo spirito del Vaticano II, del famoso
discorso “Gaudet Mater Ecclesia” di Giovanni XXIII. Direi che è veramente molto bello,
che pur nella complessità dei tempi, i vescovi della Chiesa cattolica intorno al successore
di Pietro testimonino questa fiducia nel bene che comunque c’è, questa speranza da
dare alle donne e agli uomini del nostro tempo.
D. - Si è affrontato anche
il tema della ricerca di nuovi linguaggi per comunicare il Vangelo, nel modo dei mass
media, attraverso l’arte, la bellezza. È stato un tema importante …
R. - È
un tema importante ed è tutt’altro che relativo soltanto ad alcuni ambiti. Ad esempio,
la via della bellezza deve essere veramente aperta a tutti. Cristo è il “Bel Pastore”
che vuole raggiungere tutti. I poveri, lo si è detto, hanno diritto alla bellezza;
non solo, hanno testimoniato nella storia di aver il senso della bellezza: si pensi
alle chiese costruite in piccoli posti dove la povera gente esprime tutto il desiderio
di dire a Dio il proprio amore attraverso la bellezza, l’arte. Dunque, sono linguaggi
che vanno destinati a tutti. Naturalmente tra questi, è anche molto importante il
linguaggio dei nuovi media, soprattutto della rete, del web, che oggi accorcia apparentemente
le distanze, ma a volte suscita lacerazioni, confronti ancora più forti fra le differenti
esperienze che vengono vissute nel villaggio globale. Ecco perché su questi fronti
l’acquisizione di questi linguaggi, delle loro metodologie, unite a una profondità
di competenze e di esperienze del Signore Gesù, diventano quanto mai preziose.
D.
- Lei è un teologo. Crede che in qualche modo sia necessario trovare delle nuove parole
per dire il Vangelo?
R. - La mediazione fra la salvezza e la storia è da sempre
la grande sfida della teologia, ed è chiaro che con il cambiamento dei tempi, cambiano
anche i linguaggi. Proprio per questo l’inculturazione della fede - se si vuole una
sorta di incarnazione del messaggio - deve essere continuamente rinnovata.
D.
- A proposto di nuovi evangelizzatori, il Sinodo ha dato molta importanza ad un nuovo
ruolo dei laici, alle famiglie, alle donne, ai giovani. Quali spunti sono emersi?
R.
- Io credo che da parte di tutti si senta l’urgenza che sia tutta la Chiesa che annuncia
a tutti il Vangelo, a tutto l’uomo e ad ogni uomo. Dunque non c’è un protagonismo
soltanto di alcuni. Il ministero del vescovo e dei presbiteri sono fondamentali perché
sono al servizio dell’unità della comunità cristiana e dell’annuncio del Vangelo.
Ma i laici sono quelli che, nella complessità e varietà delle situazioni del mondo,
portano la testimonianza del Vangelo. I genitori sono i primi testimoni della fede
per i figli, e i giovani sono non solo interlocutori e destinatari privilegiati del
Vangelo, perché è la novità di Cristo che viene a dare senso e bellezza alla novità
del loro cuore, ma sono anche quelli che a loro volta, devono diventare evangelizzatori
dei loro coetanei. Dunque nessuno deve tirarsi indietro in questa grande impresa.
Potremmo dire: l’evangelizzatore non è un navigatore solitario, ma siamo tutti insieme
nella grande barca di Pietro.
D. - L’importanza del dialogo: quello ecumenico
prima di tutto, poi quello interreligioso, e addirittura quello con chi non crede.
È questa una prospettiva nella quale si colloca la nuova evangelizzazione?
R.
- Il dialogo non si oppone alla proclamazione del Vangelo; ne è una via, proprio perché
il Vangelo si offre anche attraverso la testimonianza dell’ascolto, della carità,
dell’accoglienza dell’altro. Naturalmente, un dialogo che rinunciasse alla proclamazione
del Kèrigma, dell’identità profonda della nostra fede, non sarebbe dialogo. Allora
è necessario che su tutti i fronti del dialogo si coniughino sempre l’ascolto, l’accoglienza,
il rispetto, e anche la testimonianza fedele del tesoro che ha dato senso e bellezza
alla nostra vita.
D. - C’è infine un suo auspicio particolare, una speranza
specifica per quanto riguarda i risultati di questo Sinodo?
R. - Sì. Che la
Chiesa si presenti al mondo con rinnovato slancio, come una Chiesa di gioia, di speranza,
che ha qualcosa di veramente bello da dire alle donne e agli uomini di oggi, e con
un’esperienza gioiosa e trasformante - quella del Risorto - da comunicare.