Messaggio del Papa per i migranti. Il parroco di Lampedusa: serve una grande generosità
del cuore
“Fede e speranza” riempiono spesso “il bagaglio di coloro che emigrano”. E’ uno dei
passaggi forti del Messaggio del Papa per la Giornata del Migrante e del Rifugiato,
pubblicato lunedì scorso. Un documento che ribadisce come ogni cristiano e ogni persona
di buona volontà sia chiamata a vedere nel migrante innanzitutto la ricchezza inestimabile
della sua persona. Alessandro Gisotti ha chiesto a don Stefano Nastasi,
parroco di Lampedusa, quale parte del Messaggio l’abbia colpito maggiormente:
R. – Mi ha colpito
quando cita in particolare la Gaudium et Spes del Papa, parlando dell’umanità
che la Chiesa deve sperimentare nell’incontro con l’altro: le gioie e i dolori dell’altro
sono le gioie e i dolori della Chiesa tutta. Mi pare che lì si colga molto bene il
significato di questo incontro che sperimentiamo nel viaggio della speranza dei migranti.
D.
– Questo aspetto dell’arricchimento reciproco, lei lo ha sperimentato? La sua comunità
di fedeli di Lampedusa lo ha sperimentato?
R. – Sì: anche se spesso il primo
impatto è quello di una forma di timore mista ad un po’ di preoccupazione, di paura…
Però, il confronto con l’altro, con la storia dell’altro, con il dolore dell’altro
aiuta a rivedere anche la nostra storia, il nostro dolore e la nostra sofferenza.
Perché spesso, nella rinascita dell’altro che viene accolto nella nostra terra noi
vediamo provocare le nostre stesse aspettative: provocare in positivo, perché significa
che ci dobbiamo rimettere in discussione, anche e soprattutto, direi, nel rapporto
con il Vangelo e quindi con la Parola di Dio. Lì andiamo a verificare la nostra stessa
speranza alla luce della loro speranza, la nostra stessa fede nell’esperienza della
loro fede.
D. – Il Papa, d’altronde, sottolinea che la Chiesa deve evitare
il rischio dell’assistenzialismo: la Chiesa deve evitare questo rischio e favorire
invece l’autentica integrazione…
R. – Sicuramente, è la sfida più grande che
è posta dinanzi a noi. Perché è vero che noi, come comunità parrocchiale, facciamo
l’esperienza dell’incontro primo, della prima accoglienza, qui. Però, bisogna riconoscere
che la difficoltà più grande è quella dell’integrazione, perché sicuramente comporta
un percorso molto lungo e spesso faticoso. E’ la sfida più importante o più grande,
quella dell’integrazione, alla quale credo che non siamo perfettamente preparati.
In questo, ritengo che da parte nostra serva una riflessione maggiore e forse una
generosità del cuore ancora più grande.