2012-10-29 19:22:28

Siria. Violenza senza tregua. Per l'inviato di Onu e Lega Araba Brahimi "è guerra civile".


La crisi in Siria "sta peggiorando" e ormai si puo' parlare solo di "guerra civile": lo dice da Mosca l’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi rammaricato per il fallimento della tregua proposta alle parti. La Russia da parte sua chiede la fine delle violenze e l’avvio di un dialogo politico. Ma sul terreno la violenza divampa. Paolo Ondarza:RealAudioMP3
In Siria è guerra senza tregua. 68 in totale i morti di oggi secondo il conteggio dei comitati locali di coordinamento dell’opposizione. Bombe sono cadute su Aleppo uccidendo 15 persone, ma anche su diversi sobborghi di Damasco, teatro di scontri tra forze governative e ribelli che controllano l'area. Anche 8 bambini tra le vittime di un un attacco ad un autobus da parte delle truppe governative ad Hajar al Aswad. Il sobborgo, a sud della capitale, è stato colpito nel pomeriggio anche da un attentato dinamitardo condotto - riferisce l’agenzia governativa Sana - da "terroristi". Violenza anche in mattinata: un autobomba a Jaramana, quartiere meridionale della capitale ha provocato, secondo le autorità, sei morti e 50 feriti. Da parte sua il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, esprime profonda delusione per il fallimento del cessate il fuoco richiesto dall’inviato di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi. Quest’ultimo in visita a Mosca parla di “guerra civile” esortando la comunità internazionale a trovare una via d’uscita alla crisi. Domani Brahimi si recherà in Cina, dove il suo operato ha già raccolto l’apprezzamento del governo.

Cresce intanto l’emergenza umanitaria per i profughi che, in fuga dalle violenze, si stanno ammassando lungo i confini con i Paesi limitrofi. Salvatore Sabatino ha intervistato Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, appena rientrata dalla Giordania. Ascoltiamo qual è la situazione che ha trovato:RealAudioMP3

R. – E’ una situazione sicuramente difficile. La Giordania è un piccolo Paese di meno di sei milioni di abitanti, che però ha adottato la politica della porta aperta. Secondo il governo giordano, sarebbero almeno 200 mila i siriani entrati nei confini del Paese, anche se di queste persone, la metà – circa 105 mila - si sono registrate con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sono persone che abitano in un campo che ha una capienza di 40 mila persone, il campo di Zaatari, e al momento ce ne sono circa 20 mila. Altri invece – il 75% – si trovano nelle città più grandi, dove affittano appartamenti oppure sono ospitati presso amici e parenti.

D. – La Giordania è di per sé un Paese – come dicevi tu – piccolo, molto povero. Non mancano, però, nonostante tutto, testimonianze di solidarietà...

R. – Direi che non solo non mancano testimonianze di solidarietà, ma c’è veramente una tendenza a voler presentare questa cosa come una situazione di dovere da parte delle istituzioni, così come da parte delle persone. Quindi, la politica della porta aperta, della solidarietà, è quasi una parola d’ordine per le istituzioni giordane. Ecco, questo allora ci fa riflettere, specialmente perché abbiamo visto che non è sempre così, anche in Europa, dove ci sono molti più mezzi. Lo scorso anno, ricordo che in Italia sono arrivate 28 mila persone dalla Libia. Ebbene, in Italia, lo scorso anno, le aurorità governative parlarono di "tsunami umano" e avvertirono l’opinione pubblica che saremmo stati travolti da questa ondata di gente. Questo, chiaramente, creò molta paura, molto timore. Allora, si capisce, invece, che quando c’è un’emergenza, ciò che è più importante è riuscire a gestirla con pacatezza, con senso pratico, e suscitando i sentimenti migliori dell’opinione pubblica. Io credo, dunque, che in questo caso dovremmo guardare a questi Paesi che sono sicuramente più poveri e imparare anche da loro.

D. – Ha sempre ribadito che i rifugiati siriani hanno voglia di parlare e di far sapere al mondo quello che sta succedendo nel loro Paese. Ma c’è anche paura per quello che potrebbe avvenire...

R. – Sì, noi abbiamo visto tante persone nel campo di Zaatari che volevano parlare, dire la loro, raccontare l’orrore che avevano vissuto nel loro Paese, ma avevano paura di farlo. Le donne si coprivano il volto, perché non volevano rinunciare a denunciare, ma avendo i parenti ancora lì, non volevano nemmeno metterli in pericolo, a rischio. Quello che hanno raccontato sono storie terribili: storie di violenze, di abusi, di stupri. Veramente una galleria degli orrori.

D. – Di cosa hanno più bisogno le persone che arrivano in Giordania e quali sono le maggiori difficoltà che state riscontrando?

R. – Le persone che arrivano dalla Siria spesso sono state già sfollate all’interno del Paese due o tre volte. Quindi, arrivano non avendo più niente con loro: non hanno risorse, non hanno vestiti, non hanno niente, perché sono scappati in fretta e furia. Lì nel deserto, nel campo di Zaatari, sono stati fatti tanti interventi - è stata portata la luce, l’acqua, le strade - ma è sempre deserto e per migliorare le condizioni di vita di queste persone c’è bisogno di più stanziamenti, di più denari, di più disponibilità da parte della comunità internazionale, ma anche da parte dei cittadini, perché con l’inverno che arriva, se non si riesce a dare un’alternativa alla tenda, per queste persone sarà durissima. Bisogna allora fare in modo che ci siano fondi, soldi necessari per fornire i container, per fornire le coperte, le stufe. Io spero che gli italiani continuino a essere generosi, come sono sempre stati, anche con cifre modeste. Vorrei dare un numero verde, dove si possano acquisire più informazioni su questo. Il numero è: 800 298 000.








All the contents on this site are copyrighted ©.