Il cardinale Vegliò: nessuno Stato ha il diritto di cacciare i migranti
I contenuti del Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale del Migrante 2013
sono stati oggetto ieri mattina di una presentazione in Sala Stampa vaticana, presieduta
del capo dicastero vaticano dei Migranti, il cardinale Antonio Maria Vegliò. Il porporato
ha ribadito che, pur avendo il diritto di difendere l’identità dei propri cittadini,
nessuno Stato ha quello di “cacciare i migranti”. Il servizio di Alessandro De
Carolis:
Le ultime battute
della conferenza stampa di presentazione del Messaggio papale sulla Giornata dei migranti
fanno emergere la convinzione, chiara e diretta, del massimo responsabile vaticano
in materia. Rispondendo alla domanda di un giornalista su come vada inteso il punto
del documento che tratta della regolazione dei flussi migratori – se cioè il Vaticano
sia pro o contro un forte controllo sugli stessi – il cardinale Vegliò replica:
“Di
fronte al processo migratorio, non è che uno lo incoraggia o lo scoraggia. Uno cerca
di risolvere i problemi che questo processo comporta. Io credo che nessuno Stato al
mondo abbia il diritto di cacciare i migranti, ma nessuno Stato al mondo deve essere
così 'naïf' che tutti quelli che vogliono entrare nel suo Stato possano farlo. Ci
sono leggi e lo Stato deve difendere l’identità culturale, di benessere, dei suoi
propri cittadini. Questo non significa, però, cacciare i migranti”.
In
apertura di conferenza stampa, lo stesso cardinale Vegliò aveva messo in risalto –
oltre agli aspetti umanitari del lavoro svolto dalla Chiesa verso gli immigrati –
la dimensione religiosa del fenomeno. Un migrante, aveva detto in sostanza, non è
solo un corpo in movimento col suo carico di esigenze e aspettative, ma anche un’anima
con il bagaglio di ciò che crede. E citando uno studio del 2012, intitolato “Fede
in movimento” – che individua la fede professata da chi emigra in rapporto al Paese
di approdo e quindi i dieci Stati più interessati da questo fenomeno (Federazione
Russa, Ucraina, Germania, Francia, Regno Unito e Spagna, ma anche Arabia Saudita e
India) – il porporato ha ricordato che la nazione emblematica in questo senso sono
gli Stati Uniti, con 43 milioni circa di cittadini stranieri ospitati, dei quali ben
32 milioni sono cristiani soprattutto messicani:
“Questi numeri mostrano
le potenziali risorse religiose che portano con sé i migranti e, allo stesso tempo,
rivelano le aspettative che essi nutrono nei confronti delle comunità cristiane che
li accolgono”.
Per questo, ha soggiunto, la “dimensione religiosa” non
viene “mai dimenticata” dalla Chiesa nel suo lavoro caritativo e pastorale, che si
sforza di essere esemplare nel suo impegno di difesa a tutto tondo dei diritti e della
dignità dei migranti:
“La Chiesa ha un ruolo importante nel processo della
integrazione. Essa risponde ponendo l’accento sulla centralità e sulla dignità della
persona con la raccomandazione a tutelare le minoranze, valorizzando le loro culture,
il contributo delle migrazioni alla pacificazione universale, la dimensione ecclesiale
e missionaria del fenomeno migratorio, l’importanza del dialogo e del confronto all’interno
della società civile, della comunità ecclesiale e tra le diverse confessioni e religioni”.
Se
il cardinale Vegliò si era soffermato sulle motivazioni di tipo strettamente non umanitario,
e quindi economico, che spingono a lasciare la propria terra parte dei 740 milioni
di migranti internazionali (stimati nel 2011 dall’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni),
il segretario del Pontificio Consiglio, mons. Joseph Kalathiparambil, ha circoscritto
l’attenzione ai rifugiati e richiedenti asilo, a quello che ha definito il loro “calvario
per la sopravvivenza”, fatto spesso di abbandono, di abusi, e di camion e carrette
del mare come mezzi di una fuga verso la speranza:
“Penso, ad esempio, alla
situazione in Siria, nel Mali e nella Repubblica Democratica del Congo, dove l’80%
delle vittime sono i civili. La fuga da queste tragedie prende diverse vie. Alcuni,
ad esempio, devono camminare per settimane intere prima di varcare la frontiera di
un Paese africano orientale. Purtroppo, durante questi esodi, non è raro che una madre
perda uno o più figli, a causa di privazioni o stremati dalle fatiche, come è successo
in Sudan”.
E quando il racconto del dramma arriva agli sciacalli che sfruttano
la miseria di queste persone, la denuncia del numero due del dicastero vaticano si
fa più stringente:
“Nell’Unione Europea, queste situazioni sono il segno
che diventa sempre più difficile poter chiedere asilo, specialmente da quando in alcuni
Paesi sono state introdotte misure restrittive per ostacolare l’accesso al territorio
(…) Queste limitazioni hanno incentivato le attività dei contrabbandieri, dei trafficanti,
e pericolose traversate in mare che hanno visto sparire fra le onde già troppe vite
umane”.
Cibo, alloggio, cure mediche, diritto al lavoro e alla libera circolazione
sono, ha concluso, gli “elementi primari” garantiti dalle norme internazionali ai
richiedenti asilo. Concederli e provvedere alla loro integrazione da parte degli Stati,
ha riconosciuto, “richiede grandi sforzi e adattamento”. Ma è indispensabile, ha soggiunto,
che le misure e le politiche decise in alto siano riempite di umanità dalla base,
dai cittadini:
“C’è bisogno anche di un atteggiamento socievole e disponibile
da parte del grande pubblico con piccoli gesti di attenzione nei loro riguardi (un
sorriso, un saluto, una chiacchierata, un invito a partecipare alle attività di tutti
i giorni) che aiuteranno i rifugiati e i richiedenti asilo a sentirsi più accolti
e faciliteranno il processo di inclusione nella società”.