Anno della Fede: Il cardinale Re: la famiglia è il primo posto dove si conosce Cristo
L’Anno della Fede deve essere vissuto anzitutto in famiglia. È la convinzione del
prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, il cardinale Giovanni Battista
Re, che ieri a Pordenone ha partecipato a una celebrazione sul 50.mo del Concilio.
L’iniziativa fa parte del ricco programma della manifestazione “Ascoltare, leggere,
crescere, che vede protagonista in questi giorni la Libreria Editrice Vaticana e le
sue più recenti pubblicazioni. Il cardinale Re è stato intervistato dal nostro inviato
a Pordenone, Federico Piana:
R. – Avere
o non aver fede è qualcosa di essenziale per la vita eterna, ma anche per una vita
serena su questa terra. Quindi, l’Anno della Fede è un’occasione splendida per un
nuovo impegno e anche un rinnovato slancio sia nel vivere la fede sia anche nel donarla
agli altri.
D. – In che modo mettere a frutto quest’Anno della Fede, secondo
lei?
R. – Io direi che quello che si deve fare, in questo anno, sia prima di
tutto alimentare la fede. La fede va alimentata con la preghiera, con la lettura della
Parola di Dio, e va testimoniata nella vita, perché la fede è qualcosa di intimo,
da un certo punto di vista, ma ha anche una dimensione comunitaria. Poi, la fede va
trasmessa. Vorrei sottolineare l’importanza che la fede sia trasmessa in famiglia,
perché tutti nella nostra esperienza vediamo che le cose che abbiamo imparato in famiglia
poi le portiamo con noi per tutta la nostra vita.
D. – Quindi, la nuova evangelizzazione
avviene, partendo dal vicino di casa, partendo dal collega di lavoro, nel quotidiano:
dobbiamo ricominciare da lì…
R. – Dobbiamo cominciare da vicino e, quindi,
questa idea dell’Anno della Fede, questa grande iniziativa del Papa, mi pare molto
importante soprattutto perché viene incontro a un’esigenza del nostro tempo, del nostro
mondo, in cui Dio ha poco spazio nei cuori, ma anche nella vita della società.
D.
– Il Concilio Vaticano II ha 50 anni. Che eredità ne conserviamo e soprattutto come
lo possiamo riscoprire?
R. – Prima di tutto, dobbiamo tornare a conoscerlo
bene. E poi, vedere soprattutto come lo abbiamo applicato in questi 50 anni. Il Vaticano
II conteneva nei suoi 16 documenti tutta una serie di indicazioni. Penso, allora,
che dobbiamo fare un esame per vedere come mettere in pratica la ricchezza dell’insegnamento
che ci viene da questi 16 documenti conciliari.