Tibet: nuova auto-immolazione, settima in un mese per protesta contro Pechino
Un tibetano si è dato fuoco di fronte a una caserma della polizia, poco distante il
celebre monastero di Labrang, nella provincia cinese di Gansu, ed è morto a causa
delle ustioni riportate. Secondo fonti locali riprese dall'agenzia AsiaNews, citate
da Radio Free Asia (Rfa), il gesto estremo si è consumato martedì pomeriggio verso
le 3.30 ora locale, ed è la settima persona a darsi fuoco in questo mese per protestare
contro il dominio di Pechino nella regione. Dorje Rinchen, 58 anni, ha deciso di uccidersi
nella via principale di Labrang, nei pressi dell'omonimo monastero, molto noto nel
Tibet orientale per la propria opposizione alle politiche cinesi. I monaci di Labrang
sono famosi per aver messo in atto una protesta anti-Pechino nel 2008, durante la
visita di un gruppo di giornalisti occidentali. Nella cittadina di Labrang, Prefettura
tibetana di Kalho, è ancora alta la tensione, con le forze di sicurezza cinesi intente
a presidiare strade e luoghi di ritrovo. Nelle fasi successive all'auto-immolazione
la polizia ha cercato di sequestrare in tutta fretta il corpo, incontrando l'opposizione
della cittadinanza. I tibetani si sono scontrati con gli agenti, riuscendo infine
a prelevare il cadavere di Dorje Rinchen e a riportarlo presso la sua abitazione.
Nel frattempo le forze di sicurezza cinesi hanno sbarrato il passaggio ai monaci di
Labrang, che si stavano recando nella casa della vittima per renderge l'ultimo saluto.
In risposta, i religiosi buddisti - assieme a un gruppo di abitanti della zona - hanno
recitato preghiere e inni per la strada, poco lontano l'abitazione dell'uomo protetta
da un rigido cordone di polizia. L'auto-immolazione di ieri è la terza negli ultimi
giorni nella provincia cinese di Gansu e la settima nel solo mese di ottobre in tutta
la Regione autonoma tibetana. Il totale dei roghi sale così a 58 dal febbraio 2009,
quando sono iniziate le proteste contro quello che viene definito "imperialismo" di
Pechino nell'area, per una piena libertà religiosa e per chiedere il ritorno del leader
spirituale dei tibetani, il Dalai Lama. Per arginare il dramma di monaci e gente comune
che decide di darsi fuoco, la comunità tibetana in esilio ha deciso di riunirsi in
seduta plenaria a fine settembre, per la prima volta in quattro anni, per proporre
una nuova politica che possa fermare questa serie di suicidi. Oltre 400 tibetani da
tutto il mondo - delegati eletti nelle varie comunità della diaspora - si sono riuniti
a Dharamsala, sede del governo del Dalai Lama sin dalla fuga da Lhasa. Invece di adottare
una politica conciliatoria, il Partito comunista cinese in Tibet ha aumentato il livello
di repressione. I monasteri della regione sono blindati e guardati a vista dalla polizia
speciale, le lezioni di lingua tibetana sono proibite, la pratica religiosa è di fatto
impedita. Il Partito è arrivato a proibire le auto-immolazioni "pena una condanna
in carcere di 5 anni". Il Dalai Lama, leader spirituale della comunità, ha detto più
volte di "comprendere" i motivi che spingono al sacrificio, ma ha chiesto ai suoi
fedeli di "non sprecare" le proprie vite. (R.P.) Ultimo aggiornamento: 25 ottobre