La gestione trasparente dei beni della Chiesa e la corresponsabilità dei laici in
un convegno a Roma
Una Giornata internazionale di studio sul tema “Trasparenza finanziaria e corresponsabilità
dei fedeli nella Chiesa”: si è tenuta ieri a Roma alla Pontificia Università della
Santa Croce. Scopo dell’iniziativa promossa dal Gruppo interuniversitario Case (Corresponsabilità
Amministrazione e Sostegno economico alla Chiesa) è riflettere, alla luce di alcune
esperienze concrete e di principi teorici, su come migliorare la gestione dei beni
della Chiesa, ma anche favorire la responsabilità dei fedeli nel contributo alle sue
esigenze economiche. Della necessità di trasparenza si parla molto, oggi, in politica
come in economia. Ma in che modo la Chiesa si sente coinvolta in questo processo?
Adriana Masotti lo ha chiesto a mons. Mauro Rivella, membro del Gruppo
Case:
R. - La trasparenza
oggi è un’esigenza molto sentita da parte dell’opinione pubblica e in questo la Chiesa
non può esimersi dal fare la propria parte. Non c’è nessuna ragione per cui la Chiesa
debba nascondere ciò che è e ciò che fa, perché ciò che si raccoglie come le risorse
e tutte le disponibilità materiali economiche che ci sono, sono finalizzate a realizzare
l’opera di evangelizzazione e l’azione di carità della Chiesa. In questa giornata
di studio, ci siamo raccontati tre esperienze molto interessanti. La prima, la gestione
dei beni e la rendicontazione delle risorse in una parrocchia americana. La seconda,
l’esperienza della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo - un ente
ecclesiastico, una fondazione religiosa – di come affronta la questione della raccolta
delle risorse, e di come fa capire ciò che si è raccolto e il modo in cui viene utilizzato.
Terzo, la gestione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, cioè come a livello
comunicativo, si è spiegato ai fedeli, agli spagnoli in un contesto non facile, come
i soldi venivano raccolti e venivano utilizzati.
D. - Dalla Chiesa ci si aspetta
onestà, chiarezza, efficacia quando gestisce soldi e strutture come ospedali, istituti,
parrocchie, diocesi… Che cosa può fare in più la Chiesa per rispondere adeguatamente
a queste attese?
R. - Io credo che la Chiesa faccia già molto e la generosità
dei fedeli è la prima riprova di questa azione. Da parte sua la Chiesa può contraccambiare
questa fiducia favorendo il più possibile la conoscenza dei dati reali circa la dimensione
della raccolta e il modo di gestire questi beni.
D. - Fermiamoci a livello
di parrocchia. C’è qualcosa da cambiare nella gestione, ad esempio nel consiglio parrocchiale…
R.
- Gli adempimenti e gli obblighi anche di ordine amministrativo e fiscale a cui una
parrocchia è soggetta aumentano di giorno in giorno. Non c’è nulla da perdere ad affrontare
con chiarezza queste dimensioni favorendo il più possibile il coinvolgimento dei laici.
La mia esperienza personale è quella che esistono nelle comunità parrocchiali laici
impegnati, competenti e disponibili. Il parroco deve guardare a loro con la massima
fiducia.
D. – Ma qual è la situazione attuale? C’è questa disponibilità o ci
sono resistenze in questo senso?
R. - No, io non credo che esistano delle resistenze.
È un cambiamento di mentalità che viene chiesto a tutti. Ai sacerdoti viene chiesto
di dare fiducia ai propri laici; ai laici viene chiesto un atteggiamento di maggiore
maturità. Se ci sentiamo corresponsabili della comunità, non soltanto abbiamo il diritto
di sapere come vanno le cose, ma abbiamo anche il dovere di coinvolgerci.
D.
- Sappiamo che è molto frequente sentire accusare la Chiesa di essere ricca. Come
spiegare il possesso dei beni da parte della Chiesa? Cosa giustifica questo suo essere
in mezzo agli affari umani, terreni?
R. - Sulle ricchezze della Chiesa c’è
molta mitologia e fantasia. Ci sono molti beni, ma quello che il Signore ci dice e
che la realtà ci insegna a fare, è utilizzarli nel modo migliore. Proverei a capovolgere
il ragionamento: ci conviene una Chiesa povera, cioè una Chiesa priva di strumenti,
incapace di agire di fronte alle necessità dei tempi correnti, o ci interessa una
Chiesa capace di essere presente dove ci sono le necessità? Tutto quello che noi abbiamo
deve essere totalmente destinato ai fratelli.
D. - Veniamo all’altra parola
sottolineata nella giornata di oggi “corresponsabilità” dei fedeli. Si parlava prima
dell’informazione, ma anche dare il proprio contributo al sostentamento della Chiesa,
fa parte di questo nuovo processo?
R. - Certamente. Uno dei doveri di fondo
dei fedeli è sovvenire alle necessità della Chiesa. Ma non è un dovere estrinseco,
non si tratta di un’imposizione, di un tributo che grava sui fedeli; è ciò che avviene
in ogni famiglia. Se paragoniamo la Chiesa a una famiglia, quale dovrebbe essere e
realmente è, ciascuno deve farsi carico delle esigenze della comunità. Credo che una
visione sanamente rinnovata della Chiesa alla luce degli insegnamenti del Concilio
Vaticano II, ci mette esattamente in questa linea: una comunità si assume le responsabilità,
si fa carico dei propri doveri, si apre missionariamente al mondo, e allora il sostenere
la vita della Chiesa diventa un dovere, un impegno.