Sinodo: appello per la liberazione dei missionari rapiti in Congo
Dal Sinodo ieri mattina l’appello per la liberazione, senza condizioni, dei tre religiosi
cattolici rapiti venerdì scorso nella Repubblica Democratica del Congo. Da questo
Paese, arriva in aula la testimonianza di un’uditrice: Ernestine Kinyabuuma,
focolarina, docente all’Istituto universitario "Maria Malkia" a Lubumbashi, città
in cui svolge servizio accanto ai detenuti. Paolo Ondarza l’ha intervistata:
R. – Io sono
professoressa e mi occupo dell’educazione alla pace e al dialogo interreligioso. Un’interpretazione
sbagliata delle religioni può infatti portare a dividere la gente, mentre la religione
è veicolo di pace.
D. – Lei inoltre lavora tra i carcerati, con un programma
di riabilitazione e reinserimento sociale...
R. – Nel mese di maggio ho cominciato
ad insegnare a cucire ai detenuti. Con i pochi mezzi che avevo, ho comprato cinque
macchine da cucire e ho selezionato 20 carcerati, tra donne e uomini, per formare
il primo gruppo per un corso di tre mesi. In questi tre mesi, non si trattava solo
di insegnare loro il cucito, ma anche di cercare di far capire loro quanto valevano,
infondere stima in loro stessi, nelle loro capacità. La cosa bella è che dopo tre
mesi - normalmente, secondo la legge, se un carcerato ha cambiato il suo comportamento,
può avere la grazia - di quei 20 carcerati ne sono rimasti solo due. Questo, è un
bel risultato di ciò che sto cercando di fare nel mio piccolo.
D. – Anche
questa è evangelizzazione?
R. – Penso di sì: io sono una focolarina e vivo
la Parola di Dio ed è questa che cerco di trasmettere. E’ “il mio segreto”, il filo
conduttore di ogni mia azione.
D. – Come sta vivendo l’esperienza qui al Sinodo?
R.
– Vedere i vescovi, tutti radunati insieme, mi dà l’idea di una famiglia nella quale
i genitori radunano i figli per esporre loro un problema e cercare di capire come
risolverlo. Qui, al Sinodo, sto facendo un’esperienza di Chiesa madre, Chiesa famiglia,
famiglia di Dio.