Abbazia di San Galgano: Convegno su temi religiosi e informazione
Disinformazione su temi strettamente religiosi e su tematiche scientifiche che investono
profondi valori etici. Di questo si è parlato al convegno intitolato “Spingitori di
cavalieri. San Galgano e la spada della disinformazione”, svoltosi sabato scorso all’Abbazia
dedicata al Santo del XII secolo, in Toscana, su iniziativa dell’Ucsi, l'Unione Stampa
Cattolica Italiana, con la partecipazione dell’arcivescovo di Siena,mons.
Antonio Buoncristiani. Lo storico Eugenio Susi ha illustrato forzature e falsità dei
media su San Galgano, non a caso preso come esempio emblematico. Intervenuti, tra
gli altri, giornalisti di testate cattoliche e laiche, gli storici Francesco Salvestrini
e Fabrizio Dal Passo, il critico televisivo Mariano Sabatini. A moderare il dibattito
con Antonello Riccelli, presidente dell’Ucsi Toscana, la nostra collega Fausta Speranza,
vicepresidente dell’Ucsi Lazio. Ha seguito i lavori per noi Stefano Leszczynski
cheha intervistato mons. Antonio Buoncristiani:
R. – Il problema
è nelle prevenzioni che si creano. Quando c’è un’informazione religiosa, subito ci
si pone a dire: è qualcosa che mi piace o qualcosa che contrasto? Quindi, non c’è
mai quell’oggettività dell’ascolto che dovrebbe esserci. D’altra parte, anche nell’informazione
spesso c’è la tendenza a dare un’informazione che serva in una realtà e in un’altra.
Lo dico ricordando che viviamo l’Anno della Fede e che forse non ci si rende conto
che la fede è qualcosa che dev’essere trasmessa ma non imposta, piuttosto innanzitutto
testimoniata. E la fede autorizza ad avere un rapporto totalmente libero da prevenzioni.
Quindi, un rapporto di dialogo, di possibilità di non malintesi o altro. E questo
mi sembra fondamentale.
D. – Nel contesto del Sinodo, dell’Anno della Fede,
del 50.mo del Concilio si è parlato spesso di comunicazione e del problema di correggere
qualcosa nella comunicazione anche da parte della Chiesa. Cosa bisognerebbe fare per
indirizzare meglio la comunicazione della Chiesa?
R. – Io trovo che l’impegno
dei mass-media sia importante e difficile, però, il rapporto della fede, secondo me,
non passa innanzitutto attraverso i media: passa attraverso la testimonianza delle
persone, perché la fede nasce dal cuore, e l’informazione viene dopo. E’ il cuore
che la recepisce in un senso o in un altro. Certamente, dobbiamo dare grande importanza
alla fede e alla comunicazione, perché ha grande importanza nella società di oggi.
D.
– Quanto c’entra la secolarizzazione nella mistificazione delle questioni religiose?
R.
– Tutto quello che è religione, in qualche modo, in molte persone crea un senso di
colpa, e quindi c’è sempre la necessità di trovare giustificazioni contro: è un modo
di difendersi, perché la parola di Dio “taglia”. E, dinanzi a questo fenomeno, hanno
paura tutti quelli che non vogliono essere “tagliati” dalla Parola di Dio… In fondo,
la Parola di Dio chiede che tu ti spogli, che ti umilii nel riconoscere che ne hai
bisogno, e allora ti cambia.
A 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano
II, si è preso spunto anche dal libro “Giornalismo e religione” di don Giuseppe Costa,
don Giuseppe Merola e Luca Caruso, edito di recente dalla Libreria Editrice Vaticana,
che mette sotto esame la stampa laica e la stampa cattolica. Delle cause della disinformazione
e delle responsabilità, Stefano Leszczynski ha parlatoa San Galgano
con ilpresidente nazionale dell’Ucsi, Andrea Melodia:
R. – Il problema
della disinformazione nasce da molteplici cause: di natura economica, culturale ed
ideologica. Se si parte da preconcetti, da interessi estranei alla professione, cioè
alla corretta informazione, è facile finire nella facile disinformazione. In gran
sintesi, io credo che gli strumenti principali che abbiamo per combattere la disinformazione
siano la competenza e la responsabilità: sapere di essere al servizio del pubblico,
dei cittadini. Noi cattolici, in particolare, siamo al servizio anche della nostra
comunità religiosa.
D. – C’è qualche rischio insito nel definirsi "giornalisti
cattolici"?
R. – Io non credo che il giornalismo cattolico debba essere sostanzialmente
diverso dal giornalismo nei media non cattolici. Cioè, il problema della competenza
e della responsabilità è uguale per tutti. E’ chiaro che, nel momento in cui si lavora
in un media cattolico, si ha una responsabilità specifica in relazione alla comunità
nei confronti della quale si svolge un servizio, che ha il suo sistema di fede, di
credenze che vanno ulteriormente sviluppate e rispettate. Però, il problema della
responsabilità è generale: vale per tutti.