Libia: 26 morti in due giorni di combattimenti a Bani Walid
È di 26 morti e oltre 200 feriti, fra cui diversi bambini, il bilancio ancora provvisorio
dei violenti combattimenti che, da sabato, imperversano nella località libica di Bani
Walid, ultimo bastione dei fedelissimi di Gheddafi assediato dalle truppe governative.
Lo riferisco fonti ospedalieri di Misurata, dove i cadaveri e i feriti sono stati
trasferiti. Intanto il vicepremier Mustafa Abushagur si è scusato via Twitter "per
aver annunciato l'uccisione di Khamis Gheddafi, figlio dell’ex rais” spiegando che
la notizia non ha conferme ufficiali”. Quel che è certo, come ha ammesso il leader
dell'Assemblea nazionale Magarief, è che ad un anno dalla morte di Gheddafi la Libia
“non è ancora pienamente liberata”. Sulla figura del rais di Tripoli nel primo anniversario
della morte, Benedetta Capelli ha chiesto un commento al prof.Vittorio
Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di
Milano:
R. – Gheddafi
è stato un opportunista politico in senso stretto: ha tirato fuori la Libia da una
situazione di "sonnolenza" ed ha cercato di usare quel Paese come un trampolino per
le sue ambizioni personali, scontrandosi però con la realtà dei fatti perché la Libia
è un Paese dotato di grandi risorse petrolifere, ma alla fine ha solo quelle. Gheddafi
ha sponsorizzato il terrorismo di matrice palestinese ma non solo. Resta un personaggio
negativo.
D. – Ad un anno di distanza, il Paese ha ancora moltissime problematiche
aperte. Lei che bilancio può fare di questo primo anno?
R. – All’inizio eravamo
molto più preoccupati di quello che poteva succedere. In un primo tempo è sembrato
che, tutto sommato, l’intervento avesse prodotto un risultato positivo. All’improvviso,
dal momento delle elezioni in poi, tutto è andato peggiorando. Non tanto in termini
di infiltrazioni di estremisti islamisti, quanto nella difficoltà di tenere insieme
Cirenaica e Tripolitania. Questo credo che sia il problema principale che abbiamo
di fronte in questo momento.
D. – Un altro problema importante è anche la composizione
dell’esercito che non garantisce assolutamente stabilità in questo Paese...
R.
– No, perché le forze di sicurezza rischiano di essere percepite come una formazione
armata in mezzo ad altre formazioni armate. Dopo i fatti di Bengasi era sembrato che
ci fosse una spinta al disarmo delle milizie. C’è stato anche un tentativo volenteroso
di farlo. Alla fine, però, il rischio di una frammentazione del Paese per aree geografiche,
per gruppi tribali, ed eventualmente anche per milizie politiche, continua ad essere
elevato. Certamente sarebbe un paradosso perché l’intervento in Libia è stato costoso,
importante, motivato ad evitare, appunto, il disordine. Se dovessimo ritrovarci in
una situazione di anarchia istituzionalizzata, avremmo buttato via tempo, soldi, vite
per nulla.
D. – Intanto sta emergendo un forte coinvolgimento della Francia
nella morte di Gheddafi. Che ruolo ha la Francia oggi in Libia?
R. – La Francia
è presente in tutto il Maghreb con le attività d’intelligence. La sensazione, per
le informazioni che abbiamo, è che tutto sommato, se c’è un Paese che non ha portato
a casa quello che pensava di poter portare a casa, in termini di influenza politica
e anche di contratti economici, è proprio la Francia. I francesi hanno assunto la
guida della coalizione, hanno effettuato l’intervento, ma poi, alla fine, mi pare
che non stiano portando alcun risultato. Anche perché c’è stato un cambio di presidenza
e c’è stato anche il fatto che la crisi economica morde più adesso la Francia di quanto
non la stesse mordendo ai tempi dell’intervento in Libia.