Il Libano accusa la Siria: non ci sono dubbi sulla mano dietro l'attentato di ieri
a Beirut
Si sono susseguite le condanne per l’attentato di ieri in Libano. Per gli Stati Uniti,
si tratta di un segnale pericoloso mirato a destabilizzare il Paese, costato la vita
ad 8 persone, tra le quali il capo dell’intelligence libanese, il generale sunnita
al-Hassan. L’Iran ha apertamente accusato Israele, mentre gli Emirati Arabi Uniti
si sono detti pronti ad assistere il Libano per garantire sicurezza e stabilità. A
Beirut è stata una giornata di grande allerta, mentre molte accuse vanno in un’unica
direzione. Francesca Sabatinelli:
In Libano è
convinzione che dietro alla strage di ieri ci sia la mano siriana. Il generale al-Hassan
era uomo molto scomodo, aveva sventato un complotto di matrice siriana atto a destabilizzare
il Libano, e aveva anche fatto finire in manette un ministro libanese coinvolto, per
conto di Damasco, in attentati contro personalità anti-siriane. L’accusa l’ha lanciata
in modo inequivocabile il premier sunnita Miqati, che ha anche presentato le sue
dimissioni rifiutate però dal presidente il cristiano maronita Suleiman. Oggi le piazze
libanesi si sono infuocate, i giovani sunniti del movimento che si oppone al governo
filo-siriano, hanno bloccato per ore le strade della capitale, ma la tensione e gli
scontri si sono estesi a tutto il paese, come a Tripoli dove nei combattimenti è stato
ucciso un imam sunnita. Domani sarà una giornata pericolosa, l’opposizione, che l’ha
già definita la giornata di collera contro Assad, ha chiamato i suoi a partecipare
in massa ai funerali di al-Hassan che verrà poi sepolto accanto all’ex premier anti-siriano
Rafiq Hariri. La tensione si è registrata anche al confine, colpi di arma da fuoco
sono stati sparati dalla Siria in Libano, contro civili libanesi che manifestavano
contro l’assassinio di al-Hassan.
A Beirut, in questi giorni, si trova Roger
Bou Chahine, direttore dell’Osservatorio geopolitico mediorientale, Francesca
Sabatinelli l’ha intervistato:
R. – La parte
politica del gruppo “14 marzo”, che è quello che attualmente è all’opposizione e che
in Libano rappresenta lo schieramento anti-siriano, è chiaramente un obiettivo continuo.
Per questo lui stesso, al-Hassan, e tutti gli altri membri che rappresentano politicamente
questo gruppo, erano a conoscenza degli attentati organizzati da tempo per colpire
al cuore questa opposizione. Non vi posso nascondere che dopo l’attentato, specialmente
non appena scoperto che era al-Hassan l’obiettivo, una grande depressione ha coperto
il Paese intero, anche coloro che ovviamente sono dell’altro schieramento. Diciamo
che è una situazione molto complicata, una situazione drammatica, e penso che se in
questo momento non prevarrà la capacità politica di trattenere gli animi, potremmo
veramente sprofondare nella voragine. E’un momento molto, molto drammatico.
D.
– Roger Bou Chahine, la capacità politica da parte di chi?
R. – Dell’opposizione.
Parlo cioè di chi può fermare le persone che scendono a manifestare in strada, perché
qui in un attimo, qualsiasi incidente può causare veramente il ritorno ad una guerra
civile. Questo purtroppo ormai è nell’aria.
D. – Si può ipotizzare che si sia
trattato di un attacco terroristico di matrice jihadista?
R. – La dinamica
dell’incidente è molto chiara. Per come è stato descritto – almeno secondo le mie
ultime informazioni – si parla di una macchina ferma sulla strada, e questo non è
un’opera jihadista. La Siria, da vent’anni a questa parte, continua a compiere attentati
in Libano, eventualmente con mano libanese, non è necessario che i siriani stessi
vengano qua. E’ una dinamica riconosciuta e molto sistematica nel Paese. Al-Hassan
è stato uno dei membri di questo governo, in quanto capo dei servizi segreti libanesi,
chiamato a mantenere la calma nel Libano del Nord, quando ci sono stati incidenti
tra sunniti e sciiti, l’attentato avrebbe potuto essere anche una vendetta da parte
dei sunniti radicali. Ma, ad oggi, non risultano operazioni di quel genere.