Siria: diplomazia al lavoro per una tregua a fine mese, 200 le vittime di ieri
Si stringono i tempi della diplomazia internazionale per giungere ad una tregua in
Siria. Oggi il mediatore di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, giunge a Damasco, dove
domani proporrà un cessate-il-fuoco. Un obiettivo difficile, mentre sul terreno continuano
senza sosta le operazioni dell’esercito contro le aree del Paese controllate dagli
insorti. Anche ieri circa 200 le vittime di scontri e bombardamenti. Ci riferisce
Marina Calculli:
Tregua o non
tregua? Questo è il grande dilemma posto al regime di Assad e ai ribelli dalla richiesta
della comunità internazionale di rispettare un cessate il fuoco durante la celebrazione
dell’Aid al-Adha. Entrambe le parti sono favorevoli ma le riserve non mancano. Ancora
ieri il ministro degli esteri siriano Muallem ha detto che prima di decidere “si deve
ascoltare cosa dirà Lakhdar Brahimi”. L’emissario di Lega Araba e Onu, che ha proposto
la tregua, arriverà oggi a Damasco. “Se verrà rispettata -ha detto Brahimi - il periodo
dell’Eid al-Adha sarà propizio per avviare un negoziato”. E tuttavia la giornata di
ieri, sugellata da un bilancio di 170 morti, non lascia ben sperare. Il cuore del
conflitto è ancora, dopo diversi giorni, la città di Maaret al-Nouman. Solo qui ieri
sono rimasti uccisi 44 civili tra cui molti bambini. I ribelli hanno invece assaltato
la base militare di Wadi Daef e a Damasco un uomo in moto si è fatto esplodere di
fronte al Ministero dell’Interno. Mentre l’emergenza umanitaria si aggrava l’ONU lancia
intanto una previsione drammatica: entro il 2012 si conteranno 700mila rifugiati.
Sul
versante diplomatico, c’è attesa intanto per l’arrivo domani, nella capitale siriana,
dell’inviato di Onu e Lega Araba, Brahimi, che chiederà al governo un cessate il fuoco,
almeno per i quattro giorni della festa musulmana del Sacrificio che avrà inizio il
26 ottobre. Favorevole all’ipotesi l’Iran. Ma quali gli ostacoli ad una tregua in
Siria? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Paolo Quercia, analista internazionale:
R. - Per adesso
si sta lavorando su un cessate-il-fuoco, in occasione di una festività, che dura pochi
giorni, per cui è presto per parlare di tregua. In realtà, è un importante test per
verificare se ci sia la possibilità di un accordo politico, perché i principali Paesi
coinvolti nel conflitto siriano, soprattutto quelli regionali - Iraq, Iran, Egitto
e Arabia Saudita - stanno cercando di verificare un accordo politico. Quindi, la tregua
servirà anche a questo, e probabilmente anche a verificare se nel fronte antigovernativo
esistono gruppi che non vogliono portare avanti una tregua.
D. - C’è l’assenso
non dichiarato delle grandi potenze, sia quelle che appoggiano Assad sia quelle contrarie
al regime di Damasco?
R. - Sì, sembra che ci sia, seppure informalmente. Quindi,
questa è la principale differenza rispetto ai tentativi precedenti. Questa volta sembra,
dunque, più vicina la possibilità di una tregua, perlomeno di un’interruzione dei
combattimenti.
D. - Se da una parte Brahimi ha come interlocutore il governo
di Damasco, dall’altra c’è una schiera di oppositori al regime con anime diverse.
Questa è una difficoltà in più?
R. - Esatto. Io credo che la tregua servirà
anche a verificare se tutte le componenti antiregime la rispetteranno. Quindi, che
livello di coerenza ci sia tra gli oppositori. Perché poi, in realtà, anche la componente
militare unisce gruppi di combattimento, che hanno agende molto diverse tra di loro
e sostegni internazionali molto diversi tra di loro, fino a movimenti che possiamo
definire jihadisti e che quindi hanno agende molto diverse. Per cui, questa è la grande
difficoltà: da un lato, c’è un regime che può essere identificato e, per quanto riguarda
la parte antigovernativa, c’è una grande difficoltà di identificare l’interlocutore.
D.
- L’aggravarsi in maniera esponenziale del dramma umanitario potrebbe accelerare l’ipotesi
di un cessate-il-fuoco?
R. - Sicuramente, si registrano almeno 300 mila sfollati
nei Paesi vicini, di cui 100 mila in Turchia. Il governo turco ha mandato dei segnali
all’Europa, facendo presente che di questo problema dei profughi - che la Turchia,
ma anche la Giordania e il Libano stanno gestendo ormai da circa 19 mesi - l’Unione
Europea non si sta facendo carico e che pian piano bisognerebbe anche iniziare a porre
il problema di un aiuto europeo per questo dramma umanitario. Sicuramente, questo
è un elemento che può favorire ulteriormente il clima di una possibile tregua.