Siria, si lavora a una tregua. L'analista: è un test per futuri accordi con Damasco
In Siria, proseguono le schermaglie armate con la Turchia, mentre il conflitto interno
continua a provocare vittime. Di fronte a questa situazione, sempre più difficile,
non si affievolisce la speranza della comunità internazionale di trovare una via d’uscita
alla crisi. C’è attesa per la nuova tregua che il mediatore di Onu e Lega Araba, Lakhdar
Brahimi, proporrà sabato prossimo a Damasco. Favorevole all’ipotesi l’Iran. Ma quali
gli ostacoli ad un cessate-il-fuoco in Siria? Giancarlo La Vella lo ha chiesto
a Paolo Quercia, analista internazionale.
R. - Per adesso
si sta lavorando su un cessate-il-fuoco, in occasione di una festività, che dura pochi
giorni, per cui è presto per parlare di tregua. In realtà, è un importante test per
verificare se ci sia la possibilità di un accordo politico, perché i principali Paesi
coinvolti nel conflitto siriano, soprattutto quelli regionali - Iraq, Iran, Egitto
e Arabia Saudita - stanno cercando di verificare un accordo politico. Quindi, la tregua
servirà anche a questo, e probabilmente anche a verificare se nel fronte antigovernativo
esistono gruppi che non vogliono portare avanti una tregua.
D. - C’è l’assenso
non dichiarato delle grandi potenze, sia quelle che appoggiano Assad sia quelle contrarie
al regime di Damasco?
R. - Sì, sembra che ci sia, seppure informalmente. Quindi,
questa è la principale differenza rispetto ai tentativi precedenti. Questa volta sembra,
dunque, più vicina la possibilità di una tregua, perlomeno di un’interruzione dei
combattimenti.
D. - Se da una parte Brahimi ha come interlocutore il governo
di Damasco, dall’altra c’è una schiera di oppositori al regime con anime diverse.
Questa è una difficoltà in più?
R. - Esatto. Io credo che la tregua servirà
anche a verificare se tutte le componenti antiregime la rispetteranno. Quindi, che
livello di coerenza ci sia tra gli oppositori. Perché poi, in realtà, anche la componente
militare unisce gruppi di combattimento, che hanno agende molto diverse tra di loro
e sostegni internazionali molto diversi tra di loro, fino a movimenti che possiamo
definire jihadisti e che quindi hanno agende molto diverse. Per cui, questa è la grande
difficoltà: da un lato, c’è un regime che può essere identificato e, per quanto riguarda
la parte antigovernativa, c’è una grande difficoltà di identificare l’interlocutore.
D.
- L’aggravarsi in maniera esponenziale del dramma umanitario potrebbe accelerare l’ipotesi
di un cessate-il-fuoco?
R. - Sicuramente, si registrano almeno 300 mila sfollati
nei Paesi vicini, di cui 100 mila in Turchia. Il governo turco ha mandato dei segnali
all’Europa, facendo presente che di questo problema dei profughi - che la Turchia,
ma anche la Giordania e il Libano stanno gestendo ormai da circa 19 mesi - l’Unione
Europea non si sta facendo carico e che pian piano bisognerebbe anche iniziare a porre
il problema di un aiuto europeo per questo dramma umanitario. Sicuramente, questo
è un elemento che può favorire ulteriormente il clima di una possibile tregua.