Sinodo. Interviste con il cardinale di San Paolo Odilo Scherer e padre Paolo Martinelli
Dopo una settimana di lavori sinodali, il comune denominatore della nuova evangelizzazione
è emerso in Aula nelle molte sfaccettature, figlie di altrettanti universi culturali
nei quali il Vangelo è andato radicandosi. A proporne una lettura è uno dei padri
sinodali, l’arcivescovo di S. Paolo del Brasile, il cardinale Odilo Scherer,
al microfono di Silvonei Protz, della redazione brasiliana della nostra emittente:
R. - Anzitutto,
c’è un bisogno molto sentito di evangelizzare di nuovo. Ciò non vuol dire che quel
che si è fatto in passato non vale: vale, ma lo dobbiamo fare di nuovo. Non possiamo
pensare che è già stato fatto, non possiamo partire dal presupposto che una volta
fatto è fatto per sempre, perché i tempi cambiano, la cultura cambia, la mentalità
della gente cambia e quindi noi dobbiamo evangelizzare sempre e di nuovo. Secondo:
le situazioni sono molto diverse da una regione all’altra del mondo. Anche se la nuova
evangelizzazione è necessaria in tutti i Paesi, in tutte le parti del mondo, i modi
e gli accenti sono molto diversi: le regioni dove i cristiani sono messi a confronto,
per esempio, con altre religioni – in Oriente, ma anche nell’area islamica – la gente,
i cristiani, i cattolici, avvertono il problema in un certo modo. Altra è la maniera
di come è sentita la necessità della nuova evangelizzazione per esempio in Europa,
nell’America del Nord, nel mondo occidentale, dove i problemi sono di carattere culturale:
legati piuttosto al materialismo, al relativismo, a un certo atteggiamento culturale
che tralascia la religione e crede di poter trovare la felicità e infine la realizzazione
piena della vita nei beni di questo mondo. Altra ancora è, per esempio, la maniera
di come noi in America Latina sentiamo il bisogno della nuova evangelizzazione. Abbiamo
uno sviluppo storico diverso della nostra Chiesa. Noi, per esempio, veniamo messi
a confronto con i nuovi movimenti religiosi pentecostali, che ci pongono delle sfide
molto severe: affermare l’identità, per esempio, della nostra Chiesa cattolica, della
fede cattolica, dare alla gente la conferma della fede, dar loro questa chiarezza
nella loro fede, attraverso la quale anche loro possano difendersi dagli attacchi
di coloro che tentano in qualche modo di farli vacillare nella fede e far perdere
la fiducia nella Chiesa cattolica. Dunque, la questione della nuova èvangelizzazione
è molto ampia, molto complessa e, durante questa prima settimana, abbiamo già avuto
un po’ la panoramica delle cose: quando bene c’è, ma anche quante cose richiedono
un impegno ulteriore e più profondo.
"Il cristiano non deve esser tiepido"
e la fede deve divenire in noi fiamma dell'amore capace così di “accendere” il prossimo.
Lo ha ricordato Benedetto XVI in apertura del Sinodo sulla nuova evangelizzazione
in corso dalla settimana scorsa in Vaticano. Di questi temi Fabio Colagrande
ha parlato con uno dei partecipanti all’assemblea sinodale: padre Paolo Martinelli,
frate Cappuccino, preside dell'Istituto Francescano di Spiritualità presso la Pontificia
Università “Antonianum” in Roma, esperto al Sinodo:
R. - Credo che
sia un clima molto bello ed è anche una gioia grande potersi incontrare e sentire
come la Chiesa sta vivendo, in questi momenti, nelle diverse parti del mondo, questa
urgenza di evangelizzare e della nuova evangelizzazione. Credo che sia un incontro
arricchente proprio per tutti, nella condivisione delle esperienze comuni: è molto
bello potersi confrontare su una riflessione che, già da tempo evidentemente, è in
atto sia a livello delle chiese locali, che anche nei centri accademici. Credo che
questo confronto, il fatto di poter vivere insieme tre settimane - parlando, condividendo
le riflessioni, le esperienze - sia qualcosa che stia arricchendo davvero tanto, tutti.
Penso sarà un po’ come un laboratorio per il futuro.
D. - Come francescano,
esperto anche di spiritualità, qual è il suo auspicio, proprio per quanto riguarda
nuovi metodi di annuncio del Vangelo. Di cosa ha bisogno, davvero, la Chiesa, in questo
momento?
R. - Credo che l’approccio - anche come è scritto nell'Istrumentum laboris -
sia il fatto che il punto centrale della Nuova Evangelizzazione, non sia tanto una
nuova strategia pastorale, ma sia proprio il rinnovamento dell’esperienza spirituale,
cioè di un incontro nuovo e vivo con la persona di Cristo, che rimette in moto il
cuore, la libertà della persona. Credo che il focus veramente sia l’esperienza spirituale,
cioè: il rinnovo, il riaccadere dell’incontro con Cristo, come realtà capace di risanare,
guarire, rilanciare la propria esperienza umana e di relazione con tutta la realtà.
Credo che questo sia un po’ il centro di tutto.
D. - In questo senso, possiamo
anche rileggere le parole che vi ha rivolto il Papa, in apertura del Sinodo, questa
condanna del “cristianesimo tiepido”…
R. - Sì. Credo che questo sia proprio
il punto fondamentale. Se si potesse dire, un po’ in sintesi, è il passare da una
fede per “convenzione” a una fede di “convinzione”, perché realmente si fa l’esperienza
che Cristo è Colui per il quale vale la pena vivere. Ecco, credo che questo sia il
superamento della “tiepidezza”: quando si torna a riscoprire che Cristo dà senso ad
ogni momento della vita.
D. - Che significato assume l’anniversario dell’apertura
del Concilio Vaticano II, che coincide con l’apertura dell’Anno della Fede - per volere
del Papa - ma coincide anche con questa prima settimana di lavori del Sinodo sulla
Nuova Evangelizzazione?
R. - Credo che - come ha ricordato il Papa, nell’omelia
per l’inizio del Sinodo - veramente il Concilio costituisce il fondamento anche della
stessa idea della nuova evangelizzazione: questa idea di “ridire” Cristo in modo adeguato,
nel nostro tempo, perché si torni, appunto, a fare esperienza sensibile ed entusiasmante
di Lui. Credo che il Sinodo abbia proprio ben presente l’evento del Concilio, come
la base vera della nuova evangelizzazione.