Domenica la canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima Santa pellerossa
La Chiesa attende la proclamazione di 7 nuovi santi. Domenica, sul sagrato di Piazza
San Pietro, sarà il Papa, insieme ai Padri sinodali, a presiedere la Messa. Tra i
nuovi santi 4 saranno religiosi, 3 i laici: tra di loro ha suscitato molta curiosità
la storia della Beata Caterina Tekakwitha, scomparsa a soli 24 anni nel 1680, e che
sarà la prima santa pellerossa. Costretta a fuggire dal suo villaggio per la sua fede
cattolica e per non acconsentire ad un matrimonio combinato, si rifugiò in una tribù
di nativi del Canada e qui potè dedicare l’intera vita a Gesù. Conosciuta nei secoli
come “il giglio degli irochesi”, Giovanni Paolo II la scelse come icona della Gmg
del 2002 di Toronto. Benedetta Capelli ha intervistato per il Centro Televisivo
Vaticano padre Paolo Molinari, postulatore della Causa di canonizzazione:
R. - È la prima
ad essere portata come un esempio, una giovane donna, un’indiana che ha vissuto nei
villaggi indiani. Quindi il fatto che la Chiesa la dichiari santa evidentemente costituisce
per gli Indiani del Nord America, del Canada - che hanno sofferto molto attraverso
i secoli per la colonizzazione e anche per la privazione di tutte le loro terre, i
loro boschi - un riconoscimento di queste tribù e della loro ricchezza. E questo è
stato molto apprezzato già ai tempi della beatificazione voluta da Giovanni Paolo
II. Mi ricordo che allora parecchi capi tribù, con i quali avevo un rapporto, si gloriavano
del fatto che la Chiesa riconoscesse tutto il valore di uno di loro, e con questo
la ricchezza delle loro tradizioni, e della loro cultura.
D. - La Beata Tekakwitha
è ancora una figura attuale?
R. - Sì, molto. Giovanni Paolo II nella Giornata
Mondiale della Gioventù a Toronto, in Canada presentò Caterina Tekakwitha come un
modello per tutti i giovani del mondo. Era una giovane donna che nel momento in cui
i capi tribù avevano scelto un ragazzo destinato - secondo loro - ad essere suo marito,
si rifiutò di accettare sia in base ad un senso cristiano ma evidentemente sotto l’influsso
della grazia di Dio. Lei aveva un grande anelito, non soltanto a vivere da cristiana,
ma anche a dare completamente la sua vita a Nostro Signore, considerando Gesù come
suo sposo. Quando noi pensiamo a ciò cui oggi sono esposti i giovani, una cultura
che non è veramente impregnata di cristianesimo e che scarta l’idea della purezza
e dell’autentica vita di donazione a Cristo, questo diventa in Caterina Tekakwitha
un esempio perché lei fu perseguitata, maltrattata. Canonizzando un’indiana, nativa
degli Indiani del Nord America, viene messa in luce non solo la persona, ma tutto
quello che una persona rappresenta: una cultura della tradizione, un modo di vivere
in cordiale rapporto, come fanno loro in una tribù.
D. – C’è un episodio della
vita di Caterina che può essere considerato emblematico?
R. - Dopo il Battesimo,
che essa ricevette in seguito agli incontri con alcuni missionari gesuiti, che furono
tra i primi missionari nel Nord America, Caterina fu molto colpita dalla bontà di
queste persone, dal modo in cui essi vivevano interessandosi di chi aveva bisogno.
Allora si sentì sempre più desiderosa di favorire quei semi che sua mamma cristiana
aveva messo in lei da bambina parlandole di Gesù e della sua vita. Fu ammessa quindi
all’Eucarestia. Allora quando arrivava l’inverno, le donne indiane andavano a caccia.
Lei aveva fatto una croce con due rami d’albero, e si metteva così a pregare Gesù
Crocifisso. E quindi aveva un'autentica devozione per Cristo Crocifisso. Questa è
forse una delle sue caratteristiche della sua spiritualità: Gesù nell’Eucarestia,
Gesù Crocifisso.