Giornata per la riduzione dei disastri naturali: educare i giovani alla prevenzione
“La nostra vulnerabilità ai disastri sta crescendo più rapidamente della resistenza.
La riduzione del rischio di disastri dovrebbe essere un interesse quotidiano per tutti”.
A scriverlo è il segretario generale dell’Onu in occasione della Giornata internazionale
per la riduzione dei disastri naturali che si è celebrata ieri. Il messaggio è chiaro:
tutti dobbiamo investire per un futuro più sicuro. Ma quest’anno la Giornata riconosce
e promuove in particolare il coinvolgimento dei bambini e dei giovani. E cita esempi
concreti: in Nepal ai bambini in età scolare vengono insegnati i principi fondamentali
della sicurezza negli edifici. Attività di adattamento al cambiamento climatico coinvolgono
i bambini a Cuba. Recentemente, oltre 600 giovani di Africa, Asia e America Latina
hanno sviluppato una Carta dei Bambini per ridurre il rischio di disastri. Ma perché
è così importante puntare sui più giovani? Al microfono di Adriana Masotti,
Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei Geologi:
R. – E’ importante
perché è da lì che bisogna partire se vogliamo creare quella che spesso chiamiamo
la cultura della prevenzione, basata sulla consapevolezza dei problemi. Credo che
in Italia, come in tante altre parti del mondo, non si abbia una reale percezione
dei rischi connessi con il nostro territorio. Se vogliamo veramente creare questa
consapevolezza, dobbiamo partire dal crearla nelle scuole. Però, questo è ancora poco:
bisogna che intanto le scuole siano luoghi veramente sicuri e in realtà moltissime
scuole hanno invece problemi.
D. – Più in generale, la questione della prevenzione
è fondamentale quando si parla di riduzione dei disastri naturali. Nel messaggio delle
Nazioni Unite per questa Giornata si legge: “Ogni volta che veniamo colpiti da un
disastro si tende a incolpare la natura, solo raramente si prendono in considerazione
le azioni umane che portano all’aumento dei rischi e trasformano un avvenimento da
pericolo in catastrofe”. Quindi, c’è da fare in questo senso da parte di chi governa
e amministra i territori e le città…
R. – Intanto, partirei dal presupposto
che ha ragione l’Onu: non si può incolpare la natura, la natura ci dà le risorse e
la natura ovviamente fa il suo corso, fa il suo "mestiere". Siamo noi che dovremmo
avere rispetto per la natura, non soltanto quando ne sfruttiamo le risorse, ma soprattutto
quando non capiamo che in determinate aree non bisognerebbe compiere determinate azioni.
Detto questo, il terremoto, l’alluvione, sono un fatto assolutamente naturale. Il
problema è non mettersi in condizione di dover sopperire a questi fenomeni. Purtroppo
però in Italia - ma anche in altre parti del mondo, mi riferisco ad esempio all’America
Latina - il fenomeno naturale diventa quasi un fatto di destino ineludibile. Le faccio
un esempio su tutti: le favelas sono costruite, ovviamente, in totale assenza
di regole, laddove non dovrebbero essere costruite e quindi ogni tanto lì viene giù
qualcosa e ci scappa regolarmente il morto. Non è accettabile che i governi possano
permettere tutto questo. Penso che bisogna fare una profonda riflessione e, soprattutto,
tornare al primo concetto: rendere consapevole la gente del fatto che sta compiendo
azioni sbagliate, che costruisce laddove non deve costruire ecc… Ancora un altro
esempio, tutto italiano: se chiediamo a qualunque cittadino italiano se vive in una
casa sicura, i sondaggi riferiscono che dice di sì. In realtà, non ne ha una reale
percezione, ma ritiene di vivere in un posto sicuro. L’Emilia Romagna purtroppo è
stato un esempio negativo in questo senso. Dovremmo veramente fare un grossissimo
lavoro che parta dalle scuole, ma che deve necessariamente estendersi a tanti altri
profili anche di azioni governative. Invece, purtroppo devo dire che in Italia, nonostante
le crisi siano ricorrenti - parlo di crisi naturali - da questo punto di vista siamo
ancora un po’ al palo: cerchiamo sempre di concentrare i ragionamenti sugli aspetti
economici e mai su quelli più strutturati che possono darci un futuro migliore.
D.
- Le conoscenze scientifiche e le tecnologie di oggi sono in grado di fornirci nuovi
strumenti più adeguati per la riduzione delle conseguenze dei disastri come terremoti,
tsunami, eruzioni vulcaniche?
R. - Assolutamente sì. Devo dire che per fortuna
- con tutti i problemi - la ricerca è andata avanti sia in Italia che nel mondo. Oggi,
ci sono tecnologie e tecniche innovative: si può intervenire sulle strutture. Grazie
agli ammortizzatori sismici, esiste la possibilità si calcolare strutturalmente i
nostri edifici con delle norme che sono più avanzate. Inoltre, esiste una fondamentale
conoscenza del territorio, attraverso gli studi di micro-zonazione sismica, cioè lo
studio degli effetti di sito: ogni territorio risponde cioè all’onda sismica in modo
diverso, in funzione di una serie di elementi. Oggi, siamo in grado di conoscere la
risposta sismica di un terreno, ma purtroppo, non siamo ancora in grado di mettere
a sistema queste conoscenze e queste nuove tecnologie affinché diventino realmente
un motivo di prevenzione.