Cerimonia alla Sinagoga di Roma per ricordare l'attentato di 30 anni fa
Con la proiezione di un filmato di quelle ore drammatiche che per sempre hanno segnato
la vita della comunità ebraica di Roma si è tenuta ieri nel Tempio Maggiore la cerimonia
in ricordo dell’attacco in cui, il 9 ottobre 1982, sotto i colpi del terrorismo palestinese,
perse la vita il piccolo Stefano Gay Taché e furono ferite 42 persone. Tra gli ospiti
presenti alla cerimonia - riferisce l'agenzia Sir - il capo dello Stato Giorgio Napolitano
e alcune tra le più alte cariche istituzionali. Il primo a prendere la parola è stato
il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che ha portato al
presidente Napolitano la sua testimonianza personale di quel terribile attentato.
“Chi le parla da questo luogo sacro - ha detto - non è solo il presidente della più
antica comunità ebraica della diaspora occidentale, ma il figlio di un sopravvissuto
a quel vile gesto”. Il padre Emanuele, presente alla cerimonia di oggi, ha lottato
per mesi fra la vita e la morte, dopo che una bomba a frammentazione gli aveva conficcato
schegge in tutto il corpo, lacerato il ventre, squarciato la gola e ferito gravemente
un occhio. Creduto morto dai medici fu il Rabbino Elio Toaff a rendersi conto che
ancora respirava, salvandogli così la vita. “La mia vita ed il mio destino, così come
quella delle famiglie dei tanti feriti - ha detto Pacifici -, cambiò alle ore 12 del
9 ottobre del 1982”. “Questa esperienza ha segnato non solo le mie aspirazioni ma
anche la mia vita ebraica perché quel giorno giurai a me stesso che avrei combattuto
con anima e corpo per la mia Comunità. Per Israele”. Nel suo discorso, il presidente
dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, Renzo Gattegna ha detto: “Gli ebrei
insieme a tutti coloro che si riconoscono nei valori democratici hanno visto in quel
gesto criminale un concentrato di tutto ciò che di più barbarico la mente umana potesse
concepire”. “Non hanno colpito solo le persone ma la sensibilità che gli ebrei italiani
condividono con tutta la società civile. Quell’atto criminoso rivelò inoltre una componente
di intolleranza religiosa il cui ritorno ha caratterizzato la fine del 20° secolo
e sembra ancora in crescita inquietante”. Nel prendere la parola anche il Rabbino
Capo di Roma, Riccardo di Segni si lascia andare ad un ricordo: “Il pomeriggio delle
esequie di Stefano Gay Tachè ero con un piccolo gruppo di rabbini nella camera mortuaria
dell’Ospedale Fatebenefratelli, qui all’isola Tiberina, raccolti intorno alla piccola
bara, quando arrivò il Presidente Pertini, accolto nelle strade da un assordante gelido
silenzio. Davanti alla bara Pertini scoppiò in un pianto infrenabile, certo non cerimoniale”.
Di Segni esprime poi gratitudine al presidente Napolitano: “La Sua visita in questo
luogo segna una nuova tappa nella lunga storia dei rapporti dello Stato con la Comunità
ebraica che vive qui da 21 secoli”. (R.P.)