Sinodo. Il Papa: evangelizzare è avere il fuoco di Dio dentro e accenderlo con coraggio
nel mondo
Si è evangelizzatori se si ha nel cuore la consapevolezza che è Dio ad agire nella
Chiesa e se si ha una passione bruciante di comunicare Cristo al mondo. Con questi
pensieri, Benedetto XVI ha aperto i lavori del Sinodo sulla nuova evangelizzazione.
Il Papa ha preso la parola dopo la lettura e l’Inno iniziali con una meditazione spontanea
e particolarmente intensa. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La grande domanda
è sempre lì, in moltissimi cuori. C’era prima che in una notte di Betlemme un Bambino
cambiasse la storia, e risuona – tra persecuzioni e indifferenza montante – dopo duemila
anni di diffusione del Vangelo: Chi è Dio? E cosa c’entra con l’umanità? Benedetto
XVI tocca il nervo centrale del Sinodo portando anzitutto nella quiete dell’Aula il
rumore e i palpiti di chi nel mondo alza gli occhi al cielo, non vede nulla e continua
a chiedersi:
“Dietro il silenzio dell’universo, dietro le nuvole della storia,
c’è un Dio o non c’è? E se c’è questo Dio, ci conosce, ha a che fare con noi? Questo
Dio è buono e la realtà del bene ha potere nel mondo o no? Questa domanda è oggi così
attuale come lo era in quel tempo. Tanta gente si domanda: Dio è un’ipotesi o no?
E’ una realtà o no? Perché non si fa sentire? ‘Vangelo’ vuol dire che Dio ha rotto
il suo silenzio: Dio ha parlato, Dio c’è (...) Dio ci conosce, Dio ci ama, è entrato
nella storia. Gesù è la sua Parola, il Dio con noi, il Dio che ci mostra che ci ama,
che soffre con noi fino alla morte e risorge”.
Ecco la risposta della Chiesa
alla grande domanda. Tuttavia, in tono sommesso ma senza giri di parole, il Papa pone
un secondo quesito, quello vitale per i Padri sinodali: “Dio – ha ripetuto Benedetto
XVI – ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato. Ma come possiamo
far arrivare questa realtà all’uomo di oggi affinché diventi salvezza?”. Avendo chiari
tre passi fondamentali, che il Papa ha spiegato prendendo spunto dall’Inno dell’Ora
Terza recitata poco prima. Primo passo, la preghiera. Gli Apostoli, ha affermato,
non crearono la Chiesa “elaborando una costituzione”, ma raccogliendosi in preghiera
in attesa della Pentecoste:
“Noi non possiamo fare la Chiesa, possiamo solo
far conoscere quanto ha fatto Lui. La Chiesa non comincia con il nostro fare, ma con
il fare e il parlare di Dio (...) Solo Dio può creare la sua Chiesa. Se Dio non agisce,
le nostre cose sono solo nostre e sono insufficienti. Solo Dio può testimoniare che
è Lui che parla e ha parlato”.
Dunque, ha osservato il Papa, non è “una
mera formalità” se ogni assise sinodale comincia con la preghiera, ma una dimostrazione
di consapevolezza del fatto che “l’iniziativa” è sempre di Dio, che noi possiamo implorarla
e che con Dio la Chiesa può solo “cooperare”. Da qui nasce il secondo passo, con quella
che in latino si chiama “confessio”, la confessione pubblica della propria fede. Questo
atto, ha spiegato il Papa, è più che un professare la fede in Cristo: è una vera e
propria “confessione”. Come quella fatta con coraggio davanti a un tribunale, “davanti
agli occhi del mondo”, pur sapendo che potrà costare:
“Questa parola ‘confessione’,
che nel linguaggio cristiano latino ha sostituito la parola ‘professione’, porta in
sé l’elemento martirologico, l’elemento del testimoniare davanti a istanze nemiche
alla fede, testimoniare anche in situazioni di passione e di pericolo di morte (…)
Proprio questo garantisce la credibilità: la ‘confessio’ non è qualunque cosa che
si possa lasciar anche cadere. La ‘confessio’ implica la disponibilità a dare la mia
vita, ad accettare la passione”.
La “confessio” ha però bisogno di un abito
che la renda visibile. Ed ecco il terzo passo: la “caritas”. Cioè la più grande forza
che deve bruciare nel cuore di un cristiano, la fiamma da cui attingere per appiccare
l’incendio del Vangelo attorno a lui:
“C’è una passione nostra che deve
crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità (...) Il cristiano
non deve esser tiepido (…) Fede deve divenire in noi fiamma dell’amore: fiamma che
realmente accende il mio essere, che diventa la grande passione del mio essere e così
accende il prossimo. Questa è l’essenza dell’evangelizzazione”.