Processo in Vaticano: Gabriele condannato a 18 mesi di reclusione. Il legale: sentenza
equilibrata
Un anno e sei mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali: è questa
la decisione del Tribunale vaticano nei confronti di Paolo Gabriele, l’ex assistente
di camera del Papa riconosciuto colpevole di furto aggravato di documenti riservati.
L’udienza di sabato mattina aveva visto la requisitoria del promotore di giustizia
e l’arringa del difensore. “Ho agito per esclusivo amore viscerale per la Chiesa”,
“non mi sento un ladro”, ha ribadito alla Corte il maggiordomo del Papa, a conclusione
del dibattimento. Padre Lombardi ha poi commentato: la possibilità della grazia da
parte del Papa è molto concreta. Massimiliano Menichetti:
Si chiude, per
il momento, con una condanna a tre anni - ridotta grazie alle attenuanti a 18 mesi
di reclusione - il processo a carico di Paolo Gabriele, colpevole di furto aggravato
di documenti riservati. “Una condanna equilibrata”, un eventuale ricorso in appello
sarà valutato “in un secondo momento”, è stato il primo commento dell’avvocato di
parte, Cristiana Arru. I giudici hanno seguito il Codice penale vaticano Zanardelli
e applicato l’articolo 26 della legge 50 promulgata da Paolo VI nel 1969, che introduce
le attenuanti e quindi la possibilità di ridurre la pena.
In sostanza, i giudici
hanno diminuito della metà la pena vista: “l’assenza di precedenti penali, le risultanze
dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, il convincimento
soggettivo seppur erroneo di Gabriele quale movente della sua condotta e la dichiarazione
di sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre”.
“L’eventualità
della grazia da parte del Papa è molto concreta”, ha ribadito il direttore della Sala
Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, sollecitato dai giornalisti al termine della
lettura della sentenza. “Non vi so dire tempi o modi – ha precisato – ma verosimilmente
Benedetto XVI procederà” in questo senso. Padre Lombardi ha anche ribadito la piena
e totale indipendenza della magistratura vaticana
Gabriele, ora agli arresti
domiciliari, questa mattina al termine del dibattimento ha nuovamente dichiarato “la
convinzione di avere agito per esclusivo amore viscerale per la Chiesa di Cristo e
per il suo capo visibile”. E al presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Dalla
Torre, che gli ha domandato se si sentisse colpevole o meno del reato ascrittogli,
Gabriele ha detto: “Se lo devo ripetere, non mi sento un ladro”.
In precedenza,
durante il suo intervento, il promotore di giustizia, Nicola Picardi, aveva escluso,
per mancanza di prove, che l’ex aiutante di camera del Pontefice avesse altri complici
o correi e aveva concluso la requisitoria chiedendo anche l’interdizione dai pubblici
uffici di Gabriele, non accolta dai giudici.
L’avvocato di parte, Cristiana
Arru, negando il furto aveva chiesto la derubricazione del reato in "appropriazione
indebita", sostenendo che si poteva "parlare di mancato rispetto dei limiti di utilizzo
dei beni, da parte di Gabriele, ma non di sottrazione del bene stesso", poichè - ha
ribadito - "non erano stati sottratti originali ma solo fotocopie". In subordine -
il difensore - aveva comunque chiesto la riduzione al minimo della pena per il reato
di furto aggravato.