2012-10-04 12:35:49

20 anni fa l’accordo di pace per il Mozambico, promosso da Sant’Egidio. La testimonianza di Andrea Riccardi


Il Mozambico ha festeggiato ieri, il 20.mo anniversario dell’accordo di pace che mise fine alla quasi ventennale guerra civile, esplosa all’indomani dell’indipendenza dal Portogallo. I vescovi locali, in una nota inviata all’agenzia Fides, ricordano il contributo dato dalla Chiesa per mantenere viva la speranza del popolo, anche nei momenti più bui della guerra. A festeggiare con grande partecipazione questa ricorrenza è la Comunità di Sant’Egidio, che portò avanti la mediazione tra il governo di Maputo e la guerriglia della Renamo. Una mediazione lunga ben due anni e tre mesi, articolata in 11 sessioni di lavoro. Rafael Belincanta ha ripercorso quella straordinaria iniziativa di pace con uno dei protagonisti, il ministro Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio:RealAudioMP3

R. – Io ci ho sempre creduto. Penso che con don Matteo Zuppi siamo stati gli “architetti” dell’avvicinamento tra le due parti che non si parlavano. Erano due parti che davvero non si parlavano! Quando all’inizio dell’incontro le due parti si dovevano chiamare, il grande rischio era che gli uni dicessero agli altri “signori banditi armati” e quelli rispondessero: “governo illegittimo”. Queste erano le “posizioni culturali” da cui ci si muoveva. C’era un problema di avvicinamento della Renamo. Fu molto importante un viaggio di don Jaime Gonçalves a Gorongosa per parlare con Dlakama (leader della Renamo ndr). Poi fu importante la venuta a Roma di Dlakama con cui io parlai. Prima parlammo con il rappresentante della Renamo a Roma e poi col presidente della Renamo, Dlakama. Fu un discorso importante, che spiegò come loro non avevano altra strada che le trattative. Quindi, ci fu una maturazione all’interno del governo Chissano, vari tentativi, il ruolo delle religioni, etc. finché noi focalizzammo su Roma e sollecitammo il governo italiano - che allora aveva un grande prestigio in Mozambico, erano tempi in cui l’Italia era molto presente in Africa e aveva un grande prestigio in Mozambico - a nominare un suo rappresentante che fu Mario Raffaelli.

D. – Per quanto riguarda il ruolo della Chiesa, lei ha parlato dell’arcivescovo di Beira, don Gonçalves... E’ stata decisiva anche la partecipazione della Chiesa per questo accordo di pace?

R. – Io ricordo che don Jaime Gonçalves ebbe un bel ruolo, all’inizio soprattutto. Distinguerei tra il suo ruolo personale e quello della Conferenza episcopale che fu molto minore, veramente molto minore. Ci fu un suo ruolo all’inizio e sostanzialmente don Jaime dette alla Renamo la garanzia che quei negoziati non erano fatti per incastrarla. Quelli della Renamo non erano “stupidi” e sapevano che l’Italia era “amica” del governo e quindi la Chiesa e la presenza di don Jaime avevano la funzione di garantirli nell’équipe di mediazione. Questo fu il ruolo decisivo di Gonçalves, il quale agì a titolo personale e non come rappresentante della Conferenza episcopale mozambicana… Devo dire che un po’ i vescovi mozambicani, il cardinale di Maputo, all’inizio, prima dei negoziati, si erano un po’ mossi. Ma poi ci fu questo ruolo di Gonçalves come garanzia.

D. – C'erano voci che dicevano che prima la Chiesa poteva essere considerata “nemica” del popolo…

R. – I rapporti tra il governo mozambicano e la Chiesa cattolica erano pessimi. Gonçalves stesso era stato imprigionato per alcuni giorni, avevano avuto fortissime limitazioni... I rapporti migliorarono quando con la Comunità di Sant’Egidio prendemmo l’iniziativa di far incontrare Gonçalves con il segretario del partito comunista italiano, Enrico Berlinguer. Enrico Berlinguer incontrò due volte Gonçalves, ascoltò a lungo qual era la situazione e intervenne personalmente presso la Frelimo (che sosteneva il governo ndr) per un cambiamento della politica religiosa della Frelimo stessa.

D. – Vuole dire che nessuno credeva che un’entità al di fuori del Mozambico stesso poteva dare inizio a un accordo di pace, come ha fatto sant’Egidio?

R. – Nessuno ci credeva e fu il bisogno delle due parti, del governo e della Renamo, a portarci a questa conoscenza, a questo accordo e a questo ruolo. Devo dire che fu molto importante l’impegno di don Matteo Zuppi che fu un appassionato negoziatore per due anni; lo fu lo stesso Raffaelli. Si creò un’équipe tra noi quattro, soprattutto tra noi tre italiani, molto unita e molto forte. Devo segnalare che fu molto bravo l’ambasciatore italiano a Maputo, Incisa di Camerana, il quale prese lui stesso grandi responsabilità. L’Italia sentì questo accordo a tratti. Erano momenti politici difficili, ci fu un interessamento forte in una fase di Andreotti, in altri momenti meno. Ma poi ci fu un’attenzione della comunità internazionale molto importante e l’attenzione degli Stati Uniti. Io ricordo qui l’ambasciatore Usa, Cameron Hume. I negoziati di Roma furono visti dall’opinione pubblica come una cosa singolare: cos’era questo antico palazzetto di Trastevere dove entravano ogni giorno due gruppi di africani, dove si svolgevano lunghe trattative, lunghi silenzi, difficoltà? Insomma fu una cosa di grande interesse e originalità! Qualcuno ironizzò… Ricordo che “Le Monde” disse: i negoziati vanno a rilento tra ottimi ristoranti romani e antiche basiliche. Però si arrivò all’accordo. Perché? Perché prendemmo tempo, perché avemmo pazienza. C’erano molte pressioni per fare presto, ma le due parti dovevano maturare, in particolare la Renamo doveva passare dalla lotta armata alla lotta politica. C’era un salto da fare.







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