2012-10-03 15:18:15

Musei Vaticani. Conferenza internazionale sulla tutela del patrimonio etnografico


Conoscere e approfondire gli studi sulla materia Terra attraverso le collezioni etnografiche per conservare le identità e condividere le responsabilità dei patrimoni culturali del mondo. Questo il tema della seconda conferenza internazionale “Sharing Conservation”, che vedrà riuniti, oggi e domani in Vaticano, esperti di tutto il mondo nel campo del restauro e della conservazione. L’incontro è organizzato dal Laboratorio Polimaterico del Museo Etnologico dei Musei Vaticani. Sull’importanza di questo museo e le ragioni della conferenza, Michele Raviart ha intervistato padre Nicola Mapelli, curatore delle raccolte etnologiche dei Musei Vaticani:RealAudioMP3

R. – Questo museo è una voce aperta sui popoli di tutti il mondo. Sono custodite più di 80 mila opere d’arte e oggetti che provengono dall’Asia, dall’America, dall’Africa, dall’Oceania … Abbiamo oggetti della preistoria, di arte precolombiana e di arte islamica. Quindi, non c’è continente, non c’è opera storica che non sia rappresentata in questo museo. Infatti, quello che per noi è importante non sono gli oggetti in se stessi, considerati come opere d’arte, ma gli oggetti come ambasciatori culturali. Per noi è importante che ogni singolo oggetto, un vaso, un dipinto, una maschera, racconti la storia del popolo che l’ha creata.

D. – Come nasce il museo e come vengono acquisiti i reperti?

R. – Le radici del Museo etnologico sono lontanissime: nasce dalla tradizione di effettuare donazioni e doni al Papa, nel corso dei secoli. Questi doni vengono dall’Asia, dalla Cina e dall’America – quando si è aperta l’epoca delle grandi scoperte sono arrivati doni al Papa, continuamente e da tutto il mondo. Il dono più antico che abbiamo porta la certificazione del 1692 e si tratta di cinque manufatti precolombiani di una etnia – i Tayrona – dell’odierna Colombia. Poi, nel 1925 ci fu una grande esposizione qui, in Vaticano, organizzata da Papa Pio XI, per mostrare l’apertura della Chiesa cattolica nei confronti dei popoli, delle culture, delle religioni e delle spiritualità. Al termine dell’esposizione, che fu un grande successo, visitato da oltre un milione di persone, il Papa disse: “Dobbiamo realizzare un Museo permanente”. Da allora, la collezione è cresciuta soprattutto grazie alle donazioni fatte ai Papi.

D. – Una volta arrivati i reperti, qual è il lavoro dei Musei Vaticani?

R. – La prima fase è sicuramente quella di presentare questi doni al direttore e al Pontefice; poi passano al Laboratorio Polimaterico, coordinato dalla dottoressa Stefania Pandozy, dove vanno soggetti ad una prima analisi, ad un primo controllo.

D. – Il tema della conferenza sulla conservazione e il restauro di quest’anno, è la terra. Perché questa scelta?

R. – Questo argomento – la terra – non è stato scelto casualmente, anche perché il termine terra può avere una duplice valenza: sia il materiale che viene utilizzato per creare gli oggetti, sia il pianeta Terra. Quindi, si è voluto giocare un po’ su questo duplice significato del termine per ricordare la passione ecologica del Museo etnologico: per noi è molto importante questo concetto di rispetto nei confronti dell’ambiente, di protezione dei popoli indigeni dalle minacce nei confronti dei loro territori da parte di compagnie minerarie, della deforestazione… Il secondo significato è legato al fatto che l’uomo, questo essere creativo, sa sfruttare questo elemento che è la Terra per creare oggetti sia di uso quotidiano – come può esserlo una ciotola per bere – ma poi anche creazioni che assumono il livello di produzioni artistiche.

D. – E’ imminente la beatificazione di Catrina Tekhakwita, che sarà la prima santa nativa nordamericana. Come si prepara il Museo etnologico a questo avvenimento?

R. – Proprio in occasione di questo avvenimento, esporremo due classi di oggetti. Anzitutto, metteremo in mostra una pipa di pace, un calumet che fu donato a Papa Giovanni Paolo II da un nativo americano che siamo riusciti a ricontattare in occasione dell’Incontro di Assisi del 1986; in secondo luogo, metteremo in mostra anche le statue di uno scultore tedesco che si chiamava Ferdinand Pettrich: sono statue molto belle e sono uniche nel loro genere perché nella prima metà dell’Ottocento questo scultore fu uno dei primi a prendere i nativi americani come modelli.

D. – Il legame tra uomo e oggetto da lui creato è per voi molto importante, tanto che spesso cercate i discendenti di chi ha donato gli oggetti al Museo …

R. – Nel nostro Museo sono conservati oggetti – soprattutto maschere – che furono donate dagli Yagan, una etnia della Terra del Fuoco, intorno agli anni Venti. Sono andato nella Terra del Fuoco e ho ritrovato la figlia dell’informatore che ha raccolto questa maschera, e lei mi ha raccontato una storia molto toccante perché questa donna – che ormai ha 84 anni – è l’ultima che parla la lingua di questa etnia. E questo per noi è importante, perché dimostra che dietro ad un oggetto c’è la storia di un popolo e nel caso specifico, la paura per una cultura che rischia di andare perduta. E noi vogliamo tenere viva questa cultura.

Ma come si prepara il Laboratorio Polimaterico a questa conferenza? Michele Raviart lo ha chiesto a Stefania Pandozy, responsabile del laboratorio, al quale lavorano sette donne:RealAudioMP3

R. – Siamo molto emozionate e molto onorate di ospitare questo evento. Siamo state incoraggiate anche dalla grande adesione alla giornata, che era stata organizzata lo scorso anno. I laboratori di restauro, negli ultimi anni, hanno avuto veramente una grande trasformazione e sono diventati proprio dei cantieri aperti. Attraverso l’esperienza e il rapporto continuo con curatori come padre Mapelli, che ci insegna ad allargare il nostro orizzonte a Paesi e mondi diversi, abbiamo sentito proprio l’esigenza di confrontarci con gli studiosi, con gli operatori che lavorano oltre i nostri confini.

D. – Quale metodologia di lavoro impiegate?

R. – Noi in questi anni stiamo avendo contatti con tutto il mondo orientale, cercando di unire le metodologie, le competenze occidentali con quelle che sono invece le competenze del mondo orientale, di confrontare i diversi approcci e cercare di cogliere le parti migliori da entrambe le esperienze.

D. – Il tema di quest’anno è la valorizzazione della materia "terra". Praticamente, il Laboratorio come lavora la terra, nel senso più vasto del termine?

R. – Il desiderio è proprio quello di muoverci verso nuove dimensioni, che rispettino anche nella scelta dei materiali, dei metodi, l’ambiente e l’uomo. Quindi, vorremmo cercare di andare verso un restauro sostenibile, che non intervenga in modo aggressivo, violento, nei confronti della materia, proprio perché noi intravediamo al di là della materia un mondo immateriale, intangibile, che è portatore di messaggi e di valori, che sono più ricollegati all’uomo che alla materia.

D. – Chi parteciperà a questa conferenza?

R. – In genere noi apriamo un bando di concorso attraverso il web. Abbiamo avuto più di 25 richieste di partecipazione che provengono da tutti i continenti. Abbiamo l’Africa, l’America Latina e tutte le rappresentazioni di approcci sia al patrimonio etnografico che alla conservazione delle collezioni.







All the contents on this site are copyrighted ©.