La festa ebraica di Sukkoth. L'intervista con il Rabbino Di Segni
Ha preso il via dal 30 settembre la Festa ebraica di Sukkoth, conosciuta come Festa
delle capanne, dal termine sukkah che in ebraico significa, appunto, capanna. Questa
festività ricorda, infatti, i 40 anni trascorsi dal popolo d’Israele nel deserto prima
di raggiungere la terra promessa ed è legata anche al tempo del raccolto. Sul significato
di questa festa Debora Donnini ha sentito il Rabbino Capo di Roma, Riccardo
Di Segni:
La Festa delle
capanne è chiamata così – in italiano c’è un antico nome “La Festa dei tabernacoli”,
che corrisponde all’idea della capanna – perché in questi giorni c’è un obbligo di
risiedere dentro abitazioni provvisorie che si caratterizzano per un tetto molto provvisorio,
un tetto che deve essere fatto con vegetali tagliati dalla terra e non elaborati in
utensili. Quindi, è un tetto che indica una transitorietà, una precarietà. L’idea
è che noi dobbiamo ricordare il periodo in cui i nostri antenati, usciti alla libertà,
non possedevano abitazioni stabili ed erano così esposti agli elementi, ma protetti
dalla Provvidenza divina. Questo lo facciamo costruendo a casa propria le capanne
- chi se lo può permettere se ha a disposizione delle terrazze esposte, perché non
ci deve essere un tetto sopra – oppure usando le capanne che vengono fatte negli spazi
comunitari, dove con il clima in cui noi viviamo, si va a mangiare altrimenti, se
il clima lo consente come in Israele, si va anche a dormire. Qual è il senso? Il senso
è molto importante: la rappresentazione della precarietà e dell’instabilità della
vita umana, che però si regge sulla speranza che è quella della protezione divina.
Quindi, abbiamo l’uomo che è fragile e Dio che lo protegge.
D. – E’ vero che
nel tetto di queste capanne c’è uno spazio aperto per guardare il cielo?
R.
– Esattamente le capanne non devono essere troppo fitte, ma nemmeno troppo slargate:
ci devono essere dei piccoli varchi che consentono di vedere le stelle. Vedere le
stelle è un modo simbolico per dire che ci devono essere abbastanza spazi per vedere
cose piccole e che, quindi, non deve essere un tetto fittissimo perché potrebbe oscurare
l’idea della protezione. Le stelle sono quelle della benedizione data ad Abramo: la
tua discendenza sarà come la polvere della terra e le stelle del cielo. Entrambe le
cose hanno grandi significati simbolici: nel caso delle stelle significa che se ci
si innalza spiritualmente, ci si ricorda di questa promessa.
D. – Questa di
Sukkoth è anche una festa a carattere agricolo…
R. – Ogni festa biblica, tra
quelle principali, ha un legame con la natura: si tratta praticamente di un riferimento
al ciclo agricolo della terra di Israele. C’è quindi un meccanismo doppio: il riferimento
agricolo ed il riferimento storico. Questo vale anche per la festa della Pasqua e
per quella di Shavuot, che è quella della promulgazione del Decalogo. In questo caso
si tratta dell’ultimo raccolto dell’anno, soprattutto della vendemmia, tema agricolo
che è anche collegato ad una forte richiesta di pioggia: nel clima di Israele in estate
la pioggia non c’è per niente e comincia, o dovrebbe cominciare, in questi giorni.
Quindi, c’è un doppio senso: quello della terra, del dono divino ed il senso della
storia, che in qualche modo interviene sulla mera visione ciclica della vita legata
alla natura.
D. – A livello liturgico, è una festa caratterizzata da canti
e danze...
R. – Ogni evento liturgico ha le sue melodie, che sono variamente
sviluppate secondo le tradizioni e i gusti degli ebrei sparsi per il mondo. Da questo
punto di vista, nelle Sinagoghe o anche dentro le capanne si possono cantare inni
religiosi; le danze sono una cosa molto differente, anche queste dipendono dalle tradizioni,
ma si fanno soprattutto nell’ultimo giorno della festa, che è una specie di “appendice”.
L’ultimo giorno della festa - che in Italia, nella Diaspora, sarà la sera dell’8 ed
il giorno del 9, in Israele lo stesso giorno dell’8 - è il giorno in cui si festeggia
la fine della lettura del ciclo annuale della Bibbia, perché noi il Pentateuco lo
dividiamo in sezioni settimanali, per completarlo ogni anno e quello è il momento
in cui si finisce e si ricomincia. Per festeggiare questo, in appendice appunto alla
festa di Sukkoth, si celebra la “Gioia della Torah”, ed in quel caso – secondo costumi
molto differenti – ci sono anche cerimonie festive in cui qualcuno anche balla.