2012-10-02 16:34:20

Siria: 300 mila gli sfollati. Mosca a Nato: no intervento militare


Imperversa la violenza in Siria, oltre 30 le vittime di ieri, mentre la Russia ha messo in guardia la Nato e i Paesi del Medio Oriente dal cercare un pretesto per un intervento militare. Intanto, secondo stime Onu, il numero dei rifugiati siriani nei Paesi confinanti è triplicato negli ultimi tre mesi sono oltre 300 mila. Della diffile situazione in Siria, Benedetta Capelli ha raccolto il commento del prof. Massimo Campanini, docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi all’Università di Trento:RealAudioMP3

R. – Personalmente, a breve termine, non mi pare di vedere una via d’uscita. Assad è ancora sufficientemente forte, oltretutto non ha perso l’appoggio dell’esercito, delle minoranze etniche su cui ha sempre fondato il suo potere. Dall’altra parte, i ribelli sono divisi al loro interno: certamente hanno l’appoggio della Turchia, dell’Arabia Saudita, del Qatar, degli Stati Uniti. Però, se non ci fosse una vera e propria svolta militare, trovo abbastanza difficile che i ribelli possano tenere sotto controllo la situazione, per lo meno in tempi brevi.

D. - Tra l’altro, stiamo assistendo proprio ad una sconfitta della diplomazia internazionale, perché né i mediatori Annan né Brahimi stanno riuscendo a trovare un canale per far sì che in Siria si dialoghi e si arrivi ad una soluzione…

R. – Da una part, Assad non vuole mollare la presa e quindi, evidentemente, non è disposto a fare concessioni che vadano oltre un ridimensionamento puramente formale del suo potere. Dall’altra parte, è vero che la rivolta contro Assad è stata una rivolta del popolo ed è stata una rivolta per la libertà. Però, è anche vero che i ribelli si sono macchiati di stragi e da questo punto di vista è chiaro che i mediatori internazionali non trovino orecchie disposte ad ascoltarli. Oltretutto, si tratta di mediatori internazionali deboli a loro volta perché non hanno un mandato chiaro alle spalle che giustifichi anche, per esempio, un ultimatum ad Assad, del tipo: O accetti questa cosa, oppure ci saranno delle conseguenze molto gravi per il Paese e per te stesso”.

D. – La componente religiosa può essere di aiuto, di supporto per una pacificazione, secondo lei?

R. – Secondo me no, anzi secondo me la componente religiosa potenzialmente porterebbe ad una deflagrazione dello Stato siriano, con l’emergere delle rivalità fra i vari gruppi etnici e religiosi. La Siria è un mosaico non così complesso e così articolato come quello libanese, però è sempre e comunque frammentato.

D. – Qual è una via d’uscita?

R. – Io vedrei bene due tipi di soluzione. Una soluzione post-assadiana senza Assad: non è detto che dopo di lui ci debba essere il diluvio, ci potrebbe essere anche una transizione guidata che potrebbe salvaguardare il sistema politico siriano. Un’altra soluzione sarebbe quella di un rivolgimento completo, basato su una ricomposizione del quadro etnico religioso, che dia veramente spazio a un governo alternativo a quello di Assad. Allora, si potrebbe veramente costruire una nuova Siria, secondo categorie democratiche che finora in Siria non sono state praticate. Tra l’altro, ci si può anche chiedere come faranno i siriani a ricostruire il Paese: avranno bisogno di interventi stranieri, di un impegno economico da parte degli arabi, soprattutto da parte delle potenze del Golfo. Queste ultime, però, darebbero un aiuto a un eventuale governo siriano solo se esso avesse una prevalenza di sunnismo e quindi garantisse una rottura degli equilibri, soprattutto dell’equilibrio di forze che dalla Siria arriva all’Iran e che preoccupa in maniera estremamente profonda l’Arabia Saudita e le altre monarchie conservatrici.







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