Obama-Romney: tutto pronto per il primo dibattito televisivo
Presidenziali Usa: Barack Obama ha due punti percentuali di vantaggio su Mitt Romney
a livello nazionale, ma negli Stati in bilico il presidente sarebbe molto più avanti.
E’ quanto emerge da un sondaggio “Washington Post-Abc” in vista delle elezioni del
prossimo 6 novembre. Intanto, è tutto pronto all’università di Denver, in Colorado,
per il primo dibattito presidenziale, questa sera, fra i due candidati. Ma quanto
conta ancora un confronto televisivo nell’era dei social network? Alessandro Gisotti
lo ha chiesto al prof. Fausto Colombo, direttore dell'Osservatorio sulla
Comunicazione dell'Università Cattolica di Milano:
R. – Conta molto.
Da un certo punto di vista, i social media, Twitter e così via moltiplicano l’efficacia
del dibattito televisivo e lo fanno perché il momento del dibattito, soprattutto nei
sistemi come quello americano, in cui ci sono due candidati semplicemente – cosa che
succede ormai in molti Paesi – è uno dei pochi momenti in cui si può fare un confronto
diretto senza particolari mediazioni. Quindi, per i cittadini quello diventa il momento
clou della comprensione del candidato. Questo è ancora valido. In più, i cittadini
esprimono attraverso la Rete le loro opinioni, i loro commenti, anche se – va detto
– su twitter e in tutti gli altri social media ci sono degli opinion leader
che sono diversi da quelli dei giornali, ma che sono seguiti da vari followers
e che, in qualche modo, riescono ad influenzare, a mediare l’influenza del dibattito.
D. – In qualche modo, dopo la sfida televisiva, nello specifico Obama-Romney,
inizia la sfida dei collaboratori, degli strateghi dei due candidati...
R.
– Direi ancora di più, direi che comincia “durante”, nel senso che Twitter commenta
in diretta. Quindi, la gente guarda la televisione e scrive. Naturalmente, questo
è noto agli strateghi della comunicazione dei due, che faranno di tutto per orientare,
interpretare, modificare e suggerire. E’ una complicazione che aumenta. Sale esponenzialmente
la complessità del dibattito. Detto questo, io rimango convinto che sia la politica
che fa la politica e quindi penso che la gente aderisca alle idee più che alla comunicazione.
Naturalmente, la comunicazione fa la sua parte.
D. – Da Kennedy-Nixon il dibattito
televisivo tra i candidati alla Casa Bianca è ormai un momento irrinunciabile e anche
un momento evidentemente spettacolare, in qualche modo, con una grande attenzione
a tutti i dettagli. Quanto, però, l’immagine rischia di superare quelli che sono i
temi, i contenuti?
R. – Il problema, naturalmente, è che più la politica è
agita e condivisa dai cittadini e meno conta il momento finale della campagna elettorale.
Ma in una situazione come quella di gran parte delle democrazie occidentali, in cui
c’è una specie di delega – magari poi scontenta – un disinteresse dei cittadini nei
confronti della politica, allora è chiaro che la scelta diventa più emotiva e più
istantanea. In questo senso, lo spettacolo è importante.
D. - Sicuramente,
quindi, non tramonterà questa formula, almeno nell’immediato futuro. Anche se diventa
molto più articolata, molto più integrata con gli altri media...
R. – Penso
che ci sarà ancora un lungo futuro e penso che comunque l’idea del dibattito forse
non coincida con l’idea di democrazia, come alcuni media vogliono farci credere. Ma
l’idea del dibattito fra i due candidati rimane uno strumento saliente per comprendere
alcune cose e soprattutto esprimere almeno una coincidenza emotiva con il candidato
che si vuole votare.