Conclusa in Svizzera la plenaria della Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa
Accettare la sfida della secolarizzazione. Con questa affermazione si è conclusa ieri
la plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa riunitasi dal 27 settembre
nella cittadina svizzera di San Gallo. La Chiesa di oggi, ha affermato il cardinale
Peter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee al termine dei
lavori, deve accorgersi della presenza dei segni di speranza che sono frutti di questo
grande Concilio ecumenico. Il servizio del nostro inviato Mario Galgano:
Nella Messa
conclusiva celebrata nella cattedrale di San Gallo, sono stati menzionati i temi principali
dell’incontro annuale dei presidenti delle Conferenze episcopali europee. Oltre 50
tra cardinali e vescovi di tutta Europa hanno discusso negli ultimi quattro giorni
sulle sfide che il Vecchio Continente sta affrontando, come la crisi economica ma
anche la sfida della nuova evangelizzazione. I vescovi ripartono ciascuno per il proprio
Paese dopo giorni intensi di confronto sulla situazione in Europa, attraversato da
una profonda crisi che assume molteplici volti, ma con una speranza concreta, come
ha ricordato il cardinale Peter Erdö. Il porporato ungherese ha menzionato l´evoluzione
in Europa negli ultimi 50 anni dopo il Concilio Vaticano II, da allora “la Chiesa-
ha ricordato il cardinale - ha continuato ad essere in cammino cercando di rispondere
con la verità di sempre alle sfide di ogni momento, testimoniando così uno sviluppo
e un rinnovamento organico”. “Anche le conseguenze della globalizzazione, che sono
tra l’altro la facilità dei viaggi, dei trasporti, l’internet, malgrado alcune difficoltà
e la possibilità di essere usate in modo sbagliato, permettono – a giudizio del presidente
del Ccee - una comunicazione globale rapidissima, e possono essere al servizio della
trasmissione della nostra fede”.
E il nostro inviato Mario Galgano ha
chiesto al cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della
Conferenza episcopale italiana, quale sia la maggiore sfida per l’Europa:
R. – La prima
sfida, quella fondamentale, che riscopra la propria anima, e per anima intendo ovviamente
quell’insieme di ideali, di valori spirituali, morali che i grandi padri dell’Europa
– Shuman, Adenauer e De Gasperi – intendevano quando pensavano ad un’Europa unita.
Quindi, nel momento in cui l’Europa pensa a se stessa, dovrebbe ritornare in modo
chiaro e distinto alle proprie radici cristiane. Questa è la prima e fondamentale
sfida che vedo per la nostra Europa. Dentro a questa prima sfida mi pare che dovrebbe
sviluppare, con l’aiuto di tutti - innanzitutto di noi come Chiesa cattolica, ben
volentieri – un’elaborazione culturale di due categorie fondamentali, che mi sembra
siano due cardini dell’Unione europea e cioè: la libertà - eredità in modo specifico
della modernità, ma innanzitutto frutto del Vangelo - la libertà con la forma dell’autodeterminazione
e, secondo, la categoria della non discriminazione.
D. - E ancora…
R.
- Una terza sfida la vedo in un’unificazione anche politica, in ordine anche all’economia,
in una propria collocazione nel mondo rispetto agli altri grandi Paesi o grandi agglomerati,
perché senza un’unità politica più sostanziale, seppur “leggera” rispetto ai Paesi
membri - che non devono essere, a mio parere, invasi da un’Europa “pesante”, ma rispettati
da un’Europa “leggera”, sia pure politicamente unitaria – è difficile parlare di unità
europea, è anche difficile stare all’interno di un mondo globalizzato che richiede
non soltanto degli agglomerati, ma richiede identità motivate. Ritornando alla prima
sfida, parlando dell’anima, certamente la dimensione religiosa è essenziale, perché
l’Europa possa veramente ritrovare se stessa. Mettere Dio alla periferia o pretendere
di costruire una città terrena senza la dimensione religiosa, trascendente, vuol dire
andare contro le persone: quando l’uomo viene sganciato dal suo fondamento - che è
trascendente - su che cosa basa il suo agire? Nel momento in cui viene negata la natura
umana e viene negato il Creatore, si perde il fondamento dell’agire, sia personale,
sia comunitario. Ci si consegna alla logica dei numeri e i numeri, che sono necessari
nella democrazia, non devono però essere “ballerini”, perché le maggioranze - quando
si tratta di valori morali, di fondamenti – sono sempre aleatorie.
D. - Cos’è
che può dare l’Europa all’Italia, soprattutto per andare oltre anche ai problemi politici,
economici e sociali? Quali sono gli impulsi che possono venire dall’Europa per l’Italia,
anche per i cattolici in Italia …
R. - A mio parere, il primo contributo che
l'Europa può dare all’Italia e ai cattolici in Italia, è un contributo di attenzione,
senza pregiudizi: se ci fosse questa disponibilità a considerare il fatto cristiano
e la cultura che ne deriva senza pregiudizi, certamente i cattolici italiani potrebbero
anche meglio sviluppare i propri principi fondamentali. Ma nello stesso tempo, l’Europa
potrebbe arricchirsi di questo fortissimo e determinante contributo, che non lede
la laicità delle istituzioni, ma semmai la rafforza e la illumina. Quindi, io penso
che una maggiore attenzione, rispettosa e dialogante, da parte dell’Europa - che vuol
dire poi, in sostanza, da parte delle istituzioni europee - al fatto ed al patrimonio
cristiano e cattolico, sarebbe una grande ricchezza per entrambi e sarebbe soprattutto
una grande ricchezza in ordine al bene delle persone e delle comunità. Per quanto
riguarda l’aspetto più strettamente politico, è chiaro che l’Italia non può fare a
meno dell’Europa per affrontare anche i propri problemi interni ed il proprio futuro.
Ma questo vale per l’Italia come vale – a mio parere – per tutti gli altri Paesi membri,
all'interno di quella logica di complementarietà e di globalizzazione, e dentro al
valore di un cammino unitario che l’Europa ormai ha intrapreso. E’ importante - secondo
il mio modo di vedere - che l’Europa sia un’Europa non “pesante”, rispetto né all’Italia
né agli altri Paesi. Trovare il punto di equilibrio tra il rispetto delle storie dei
singoli popoli, la valorizzazione delle singole identità ed una visione unitaria,
non è sempre facile né automatico, però è la strada assolutamente necessaria.
D.
– Cosa può portare l’Anno della Fede proprio per l’Europa?
R. - Il primo obiettivo
dell’Anno della Fede è la conversione del nostro cuore, una rinnovata conversione
del cuore, della vita da parte dei credenti. Il primo scopo è questo. Solo se c’è
questo scopo, questo obiettivo, allora ci sarà anche quello slancio di evangelizzazione,
quella efficacia di annuncio del Vangelo, dell’annuncio di Cristo, che è anche uno
scopo intrinseco dell’Anno della Fede. Ma il primissimo scopo - ci dice il Papa -
è ripensare la nostra fede per rinnovarla nella gioia dell’adesione a Cristo e alla
Chiesa. Se questo è veramente vissuto, allora l’Europa ne potrà beneficiare veramente,
proprio perché da una riscoperta globale della propria fede, della propria adesione
a Cristo, alla Chiesa, l’uomo e l’umanità ne escono migliorati. E un’umanità migliorata
- concettualmente, con i propri scopi, con il proprio destino - è il presupposto fondamentale
per un cammino di unificazione, che richiede delle legislazioni non contro l’uomo,
la vita, la famiglia e via discorrendo, ma per l’uomo, per la vita e la famiglia.
Allora, un risveglio della fede cattolica beneficerà l’Europa nel suo itinerario di
unificazione, permettendo legislazioni più aderenti e più rispettose dell’umano e
quindi della vita e della famiglia.