Settimana di austerity per l'Europa. Lisbona in piazza contro i tagli
E’ stata la settimana dell’austerity per l’Europa. Il governo francese ha presentato
una finanziaria da circa 37 miliardi di euro per ridurre il deficit al 3 per cento
del Pil entro il 2013, mentre la Spagna ha annunciato che per salvare le sue banche
chiederà all’Unione Europea 40 miliardi di euro su 60 necessari alla ricapitalizzazione.
E dopo le tensioni di Madrid e Atene, che attende la decisione della Troika sulla
nuova tranche di aiuti, il Portogallo scende in piazza contro i tagli decisi dal governo.
Per un bilancio della situazione attuale Cecilia Seppia ha sentito Carlo
dell’Aringa,direttore del Centro di Ricerche Economiche sui problemi del
Lavoro e dell'Industria dell'Università Cattolica di Milano:
R. - Certamente
è un segnale che il progetto politico europeo è lungo, faticoso e non alla portata
immediata dei Paesi, perché ciascuno agisce un po’ per proprio conto, nel timore che
i mercati finanziari possano speculare contro il proprio debito.
D. - Di fronte
a questo quadro che abbiamo anche visto delinearsi meglio questa settimana, qual è
il ruolo della Germania, di un Paese così forte economicamente di fronte ad un’Unione
sempre più a rischio, e soprattutto come si muoverà Berlino da qui in poi?
R.
- Paradossalmente, il fatto che anche la Germania inizi a risentire dei contraccolpi
della crisi dei Paesi dell’area monetaria - quelli che la circondano - verso i quali
la Germania esporta, quindi risente del fatto che la crescita diminuisce, e quindi
le proprie imprese attraversano momenti di difficoltà; paradossalmente, dicevo, questo
è “un fatto positivo” perché dovrebbe convincere la Germania che occorre fare di più
per impedire che la crisi si accentui e che ciascun Paese entri in un giro perverso
di manovre restrittive con un’ulteriore caduta dell’attività economica e poi ancora
nuovi bisogni di tagliare le spese ed aumentare le tasse.
D. - Dalla Merkel
anche il monito all’Europa a non farsi condizionare troppo dai mercati, che di fatto,
in tutta la settimana hanno dato segnali sconfortanti...
R. - Sì: però, se
si procedesse verso tappe credibili, verso un’unione fiscale, politica, è chiaro che
anche le tappe dell’unione bancaria e di eventuali strumenti per rilanciare la crescita,
sarebbero accettati volentieri dai mercati.
D. - Altra questione, la Spagna:
gli aiuti da 40 miliardi chiesti all’Ue per salvare le banche, sui 60 necessari. Il
ridimensionamento della cifra c’è stato, però è comunque un quadro meno fosco ma pur
sempre grave...
R. - Probabilmente i 40 miliardi, come qualcuno dice, non saranno
sufficienti e ce ne vorranno di più. Quindi da un lato la Spagna dovrà, per forza
di cose, dare garanzie di ulteriore rigore. Già sta attraversando problemi di tensioni
sociali non indifferenti. I mercati naturalmente guardano anche a questo, perché le
tensioni sociali non rafforzano un Paese, lo indeboliscono.
D. - Passando alla
Francia, questa manovra da 37 miliardi di euro: il ministro dell’economia francese
Moscovici l’ha definita ”uno sforzo senza precedenti”; comprende sacrifici per le
famiglie, per le imprese, poi la supertassa del 75 percento sui redditi superiori
ad un milione. Questa misura fa già molto discutere, ma non è la sola. Comunque è
una manovra lacrime e sangue anche qui...
R. - C’è un elemento di equità
che ci fa riflettere. Ancora una volta siamo a tasse, soprattutto, e qualche taglio
di spesa. I Paesi europei, di per sé, non hanno bisogno di ulteriori politiche fiscali
congiunturali di carattere restrittivo. Hanno bisogno di perseguire il cammino delle
riforme, ma c’è bisogno che le autorità europee allentino il raggiungimento degli
equilibri di bilancio.
D. - Questa settimana abbiamo assistito a tante manifestazioni
e scontri: Atene, Madrid... Secondo lei, al di là del malcontento dei cittadini che
è il primo segnale di destabilizzazione, l’Europa è ancora una potenza mondiale dal
punto di vista economico?
R. - Potenzialmente lo è ancora, ma certamente dopo
quattro anni di crisi, se questa dovesse perdurare a lungo, questo comporterebbe una
perdita di potenziale produttivo, e probabilmente ad un aumento della disoccupazione
e delle tensioni sociali. Questo non deporrebbe a favore di un ruolo importante come
lo ha avuto in passato.