2012-09-29 16:00:54

Settimana di austerity per l'Europa. Lisbona in piazza contro i tagli


E’ stata la settimana dell’austerity per l’Europa. Il governo francese ha presentato una finanziaria da circa 37 miliardi di euro per ridurre il deficit al 3 per cento del Pil entro il 2013, mentre la Spagna ha annunciato che per salvare le sue banche chiederà all’Unione Europea 40 miliardi di euro su 60 necessari alla ricapitalizzazione. E dopo le tensioni di Madrid e Atene, che attende la decisione della Troika sulla nuova tranche di aiuti, il Portogallo scende in piazza contro i tagli decisi dal governo. Per un bilancio della situazione attuale Cecilia Seppia ha sentito Carlo dell’Aringa, direttore del Centro di Ricerche Economiche sui problemi del Lavoro e dell'Industria dell'Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. - Certamente è un segnale che il progetto politico europeo è lungo, faticoso e non alla portata immediata dei Paesi, perché ciascuno agisce un po’ per proprio conto, nel timore che i mercati finanziari possano speculare contro il proprio debito.

D. - Di fronte a questo quadro che abbiamo anche visto delinearsi meglio questa settimana, qual è il ruolo della Germania, di un Paese così forte economicamente di fronte ad un’Unione sempre più a rischio, e soprattutto come si muoverà Berlino da qui in poi?

R. - Paradossalmente, il fatto che anche la Germania inizi a risentire dei contraccolpi della crisi dei Paesi dell’area monetaria - quelli che la circondano - verso i quali la Germania esporta, quindi risente del fatto che la crescita diminuisce, e quindi le proprie imprese attraversano momenti di difficoltà; paradossalmente, dicevo, questo è “un fatto positivo” perché dovrebbe convincere la Germania che occorre fare di più per impedire che la crisi si accentui e che ciascun Paese entri in un giro perverso di manovre restrittive con un’ulteriore caduta dell’attività economica e poi ancora nuovi bisogni di tagliare le spese ed aumentare le tasse.

D. - Dalla Merkel anche il monito all’Europa a non farsi condizionare troppo dai mercati, che di fatto, in tutta la settimana hanno dato segnali sconfortanti...

R. - Sì: però, se si procedesse verso tappe credibili, verso un’unione fiscale, politica, è chiaro che anche le tappe dell’unione bancaria e di eventuali strumenti per rilanciare la crescita, sarebbero accettati volentieri dai mercati.

D. - Altra questione, la Spagna: gli aiuti da 40 miliardi chiesti all’Ue per salvare le banche, sui 60 necessari. Il ridimensionamento della cifra c’è stato, però è comunque un quadro meno fosco ma pur sempre grave...

R. - Probabilmente i 40 miliardi, come qualcuno dice, non saranno sufficienti e ce ne vorranno di più. Quindi da un lato la Spagna dovrà, per forza di cose, dare garanzie di ulteriore rigore. Già sta attraversando problemi di tensioni sociali non indifferenti. I mercati naturalmente guardano anche a questo, perché le tensioni sociali non rafforzano un Paese, lo indeboliscono.

D. - Passando alla Francia, questa manovra da 37 miliardi di euro: il ministro dell’economia francese Moscovici l’ha definita ”uno sforzo senza precedenti”; comprende sacrifici per le famiglie, per le imprese, poi la supertassa del 75 percento sui redditi superiori ad un milione. Questa misura fa già molto discutere, ma non è la sola. Comunque è una manovra lacrime e sangue anche qui...

R. - C’è un elemento di equità che ci fa riflettere. Ancora una volta siamo a tasse, soprattutto, e qualche taglio di spesa. I Paesi europei, di per sé, non hanno bisogno di ulteriori politiche fiscali congiunturali di carattere restrittivo. Hanno bisogno di perseguire il cammino delle riforme, ma c’è bisogno che le autorità europee allentino il raggiungimento degli equilibri di bilancio.

D. - Questa settimana abbiamo assistito a tante manifestazioni e scontri: Atene, Madrid... Secondo lei, al di là del malcontento dei cittadini che è il primo segnale di destabilizzazione, l’Europa è ancora una potenza mondiale dal punto di vista economico?

R. - Potenzialmente lo è ancora, ma certamente dopo quattro anni di crisi, se questa dovesse perdurare a lungo, questo comporterebbe una perdita di potenziale produttivo, e probabilmente ad un aumento della disoccupazione e delle tensioni sociali. Questo non deporrebbe a favore di un ruolo importante come lo ha avuto in passato.







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